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Nuove linee guida di Educazione civica, perché ai Collegi dei docenti arriva una proposta modesta

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Mi sono arresa a pagina 8, quando ancora ne mancavano 15 alla fine del corposo documento che presenta le Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica. La lettura delle prime pagine l’avevo condotta senza entusiasmo ma con metodo, evidenziando tutti i passaggi che, per un verso o per l’altro, mi parevano incongrui, zoppicanti, tendenziosi. A pagina 8 avevo già estratto dal documento ministeriale passi per un totale di tre cartelle – ed ho lasciato perdere. Eppure sono abituata alla prosa aggrovigliata amata dai burocrati ministeriali e sottoscritta, in modo bipartisan, dai ministri del momento. Questa volta, però, trovo che si sia praticata l’oltranza: il principio del piacere (il piacere che qualcuno deve pur provare a mettere in fila una gran quantità di idee banali, inframmezzandole, in questo caso, con idee incoerenti) ha preso la mano agli estensori delle linee guida ed ha mandato al tappeto il povero, misconosciuto, bistrattato principio di realtà.

    Comincio dall’inizio e cercherò di essere chiara, ancorché la lettura delle Linee guida e, subito dopo, del parere del CSPI sulle stesse mi abbia sufficientemente frastornato. Dunque, le scuole dovranno dedicare spazio all’educazione civica, materia polimorfa (fors’anche perversa) e, perlomeno, proteiforme. E ci credo, il suo compito è quello di formare il CITTADINO e la CITTADINA. Qui sorge, per me, il primo dubbio: qual è il compito della scuola nel suo complesso, se non quello di istruire e di formare cittadini (e di sottrarli all’eventuale stato di sudditanza)? Perché concentrare questo sforzo in una materia specifica?

   A quanto leggo, le linee guida per l’Educazione civica dovrebbero essere, nelle intenzioni ministeriali,  un utile rinforzo   a quello che già gli insegnanti fanno, uno “strumento di supporto e sostegno ai docenti anche di fronte ad alcune gravi emergenze educative e sociali del nostro tempo quali, ad esempio, l’aumento di atti di bullismo, di cyberbullismo e di violenza contro le donne, la dipendenza dal digitale, il drammatico incremento dell’incidentalità stradale – che impone di avviare azioni sinergiche, sistematiche e preventive in tema di educazione e sicurezza stradale – nonché di altre tematiche, quali il contrasto all’uso delle sostanze stupefacenti, l’educazione alimentare, alla salute, al benessere della persona e allo sport”.  E questo è soltanto l’incipit delle linee guida!

    Non so se sia l’unica a notarlo ma, secondo questa cupa ouverture, la Scuola dovrebbe difendere Cappuccetto Rosso dal Lupo Cattivo, che, di volta in volta la insidia in nuove e imprevedibili vesti. Si dirà che, nel funesto elenco, c’è anche qualcosa di positivo: salute, benessere della persona e sport. Con i tempi che corrono temo che anche il “positivo” verrà ridotto a negativo e che si finirà per parlare di doping (sport) e malattie trasmesse sessualmente (benessere della persona). Come le tentacolari linee guida possano essere  “supporto e sostegno” per i docenti per me resta un mistero della fede. Indimostrabile.

   Riassumendo: l’incipit mi pare affetto da cupa megalomania, tanto più se si considera che per la trattazione degli undici punti in elenco (programma minimo) vengono destinate 33 ore all’anno! In media tre ore annue per trattare temi impegnativi, scabrosi, controversi.  Dal punto di vista didattico, una enorme sciocchezza, dal punto di vista del senso comune una pretesa arrogante. Lascio perdere il fatto che gli undici punti sono soltanto i primi di una lunga serie che verrà snocciolata nelle pagine che seguono.

     Le attuali Linee guida sostituiscono totalmente quanto prescritto dalla Legge 20 agosto 2019, n. 92; le Linee guida adottate in via di prima applicazione con decreto ministeriale 22 giugno 2020 avevano già causato un gran dibattito all’inizio dell’anno scolastico 2020-2021. Le scuole, però, obbedienti, avevano lavorato: “A seguito delle attività realizzate dalle scuole e tenendo conto delle novità normative intervenute, a partire dall’anno scolastico 2024/2025, i curricoli di educazione civica si riferiscono a traguardi e obiettivi di apprendimento definiti a livello nazionale, come individuati dalle presenti Linee guida che sostituiscono le precedenti”. Una persona normale si chiederà, a questo punto, perché sostituire le precedenti Linee guida. Dunque, è stato un fallimento? Il Ministero è stato subissato da proteste a pioggia provenienti dal mondo della scuola rispetto alla carenza delle Linee guida del 2020? Soprattutto, chi ha valutato gli esiti della Legge 20 agosto 2019, n.92? Mi soccorre un passaggio del Parere – negativo – che il CSPI ha espresso sulle attuali Linee guida:

Per accompagnare l’attuazione della L. n. 92/2019 il Ministero ha istituito, inoltre, un Gruppo di esperti (con compiti di consulenza e supporto al Ministro sull’insegnamento trasversale dell’Educazione civica) ed un Comitato tecnico-scientifico (con compiti consultivi e propositivi, con particolare riferimento alla definizione di tempi, forme e modalità di monitoraggio delle attività svolte dalle istituzioni scolastiche). Con nota DGPER n. 19479 del 16/07/2020 il Ministero ha promosso un capillare e imponente piano di formazione (la Legge ha previsto 4 milioni di euro – già stanziati per l’attuazione del Piano nazionale di formazione dei docenti – per preparare gli insegnanti sulle tematiche dell’educazione civica previste dalla nuova norma – n.d.r.) al fine di attuare le Linee guida nel concreto dell’attività didattica e sostenere le scuole con iniziative di accompagnamento; in particolare, la formazione si è incentrata sugli obiettivi, i contenuti, i metodi, le pratiche didattiche, l’organizzazione dell’Educazione civica declinata sulla base dei tre nuclei concettuali, da inserire trasversalmente nelle discipline previste nello specifico corso di studi.

   Apprendo inoltre che il Ministero ha effettuato una rilevazione delle modalità adottate dalle istituzioni scolastiche[1], nell’esercizio della loro autonomia di sperimentazione, per l’introduzione dell’insegnamento trasversale dell’Educazione civica negli aa.ss. 2020/21 e 2021/22, per fornire gli elementi istruttori al fine di integrare, entro l’a.s. 2022/23 etc. etc..   Peccato che non siano noti “gli esiti di tale rilevazione né eventuali documenti conclusivi dell’attività svolta dal Gruppo di esperti e dal Comitato tecnico-scientifico”, come ben fa notare il CSPI. Sarebbe questo un metodo di lavoro? I non molti fondi a disposizione dell’istruzione vanno sprecati così?

    A questo punto è giusto inserire un breve excursus:  l’Educazione civica non è affatto materia nuova per la scuola italiana. L’Assemblea Costituente votò all’unanimità, nel 1947, un ordine del giorno di Aldo Moro e altri, in cui si chiedeva che la nuova Carta Costituzionale trovasse “senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano[2]

   Sempre Aldo Moro, ministro della Pubblica Istruzione nel 1958, sottoscrisse il DPR che provvedeva a fornire i programmi per l’insegnamento dell’educazione civica negli istituti e scuole di istruzione secondaria e artistica. Giusto per misurare la distanza tra il nostro caotico e bulimico presente e la sobrietà di quei tempi, che pure non erano l’età dell’oro, riporto l’incipit dell’allegato a quel DPR.

  L’educazione civica si propone di  soddisfare  l’esigenza  che  tra Scuola e Vita si creino rapporti di mutua collaborazione. L’opinione pubblica avverte imperiosamente,  se  pur  confusamente, l’esigenza che la Vita venga a fecondare la cultura scolastica, e che la Scuola acquisti nuova virtù espansiva, aprendosi verso le forme e le strutture della Vita associata.

  La Scuola  a  buon  diritto  si  pone  come  coscienza  dei  valori spirituali da trasmettere e da promuovere,  tra  i  quali  acquistano rilievo quelli sociali, che essa  deve  accogliere  nel  suo  dominio culturale e critico. […]

  Se ben  si  osservi  l’espressione “educazione civica” con il primo termine “educazione” si  immedesima con il fine della scuola e col secondo “civica” si proietta verso  la vita sociale, giuridica, politica, verso cioè i principi che reggono la collettività e le forme nelle quali essa si concreta.                         

  Consiglio di leggere tutto il testo della norma; c’è di che far arrossire i nostri attuali governanti, ma c’è anche di che far arrossire un corpo docente che si arrovella e si arrabatta per piegare a fini più “democratici” una iniziativa estemporanea, approssimativa, venata in qualche passaggio da spirito schiettamente reazionario e fuori dal tempo.

   Chi oggi ritiene che in primo piano debbano mettersi Patria, Bandiera, Inno nazionale e che questi siano parte integrante dell’Educazione civica, temo non abbia colto la complessità dei nostri tempi e si illude che basti la volontà di tornare indietro e riesumare simboli che poco di buono hanno fruttato, almeno sinora, per superare le difficoltà che ci circondano.  

  La denuncia della grave imprecisione lessicale che attraversa il documento, il diffuso “personalismo” che, per giunta, viene annoverato da chi scrive tra le intenzioni dei Costituenti, rimandi fastidiosi e insistiti all’educazione finanziaria, il cicaleccio inconcludente su “sviluppo economico e sostenibilità” (quando da decenni si parla – e con ragione – di non sostenibilità di questo modello di sviluppo) da soli sono motivi sufficienti per  respingere le cosiddette “linee guida”.

    Le molte annotazioni del CSPI sono condivisibili, ma non parlano alle coscienze con il tono che l’occasione grave richiederebbe e rischiano, per eccesso di tecnicismi, di non essere lette dai diretti interessati. È lampante, da parte del Superiore Ministero, l’indifferenza verso i risultati che le scuole hanno raggiunto in quattro anni di applicazione delle precedenti Linee guida; quindi i docenti, nel loro insieme, vengono ridotti a meri esecutori di progetti che cambiano quando il “capo” cambia. Da un quarto di secolo la scuola italiana va avanti (meglio sarebbe dire “indietro”) così. Le riforme si susseguono come le onde del mare, l’una cancella, in tutto o in parte, la precedente e questo avvicendarsi lascia residui maleodoranti, che inquinano le menti e che portano gran parte del corpo docente ad ignorare il contesto in cui operano o a dare zelante esecuzione anche alle norme più strampalate. L’una e l’altra sono pessime soluzioni; ma è ora di dire che una parte consistente dello stress correlato al mestiere di insegnare deriva dal continuo cambiare le carte in tavola il cui principale responsabile è il Ministero. In questo senso le Linee guida sono un esempio eloquente.

    Temiamo molto che le energie dei docenti, che andrebbero impiegate in modi migliori e più produttivi per i propri studenti, si disperdano nel cercar di comprendere come dar vita al contenuto delle nuove Linee guida e, peggio ancora, nel comprendere come dar compimento a quanto di prescrittivo c’è nel testo di legge e  nello stabilire come valutare i risultati raggiunti dagli studenti.

   Su un punto, credo, i Collegi docenti dovrebbero essere intransigenti, quello della valutazione. La parola d’ordine dovrebbe essere soltanto una: rifiutarsi di valutare in modo pasticciato i risultati che gli studenti otterranno in una “disciplina” così vaga,  affidata a Linee guida contraddittorie e alla discrezionalità  dei Collegi docenti. La valutazione non dovrebbe esistere o, in subordine, dovrebbe essere unica per tutti gli studenti, in quanto tutti aspirano ad essere buoni cittadini e, se qualcuno non aspira a ciò, è proprio questolo studente  che deve essere maggiormente seguito e incoraggiato.

 E poi un consiglio: individuare nel mare magnum che le linee guida presentano pochi temi, tra di loro coerenti e adatti all’età degli alunni. Su questi temi, poi, lavorare collettivamente, ma senza l’angoscia della trasversalità e affidare agli insegnanti delle materie umanistiche (che di fatto già lo fanno) la conduzione di un discorso che potrà trovare, se si può, se si vuole, aperture interdisciplinari, scrollandosi di dosso, una volta tanto, la scimmia sulla spalla della valutazione. Non ho dubbi che tutti gli studenti risponderanno bene ad un colloquio corale, aperto, in cui tra Scuola e Vita si creino quei rapporti di mutua collaborazione di cui parlava tanti anni fa Aldo Moro.

 Sarebbe anche giusto che, di fronte ad una Legge che, all’inizio del nuovo anno scolastico si pone come una sorta di apertura di belligeranza, il corpo docente facesse sentire la propria voce al Ministro, ricordandogli quali siano gli annosi problemi che ostacolano un libero e proficuo insegnamento e che certo non si risolvono con 23 pagine di farraginosa prosa burocratica. Ed io spero che molti Collegi docenti riprendano presto la parola in questo senso.


[1]  Nota prot. n. 16706 del 27/06/2022

[2] 11 dicembre 1947