Home Attualità Lo Ius Italiae potrebbe discriminare chi va male a scuola?

Lo Ius Italiae potrebbe discriminare chi va male a scuola?

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Lo Ius Scholae o meglio Ius Italiae, presentato nei giorni scorsi come proposta di legge da Antonio Tajani di Forza Italia, potrebbe tradursi in un falso passo in avanti, pur essendo di notevole importanza per chi è ancora considerato straniero in patria. 

A sostenerlo, su Vita.it, Noura Ghazoui, preside del CoNNGI, Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane, un’associazione di promozione sociale nata nel 2017 nell’ambito delle attività della Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione, con l’obiettivo di rappresentare in maniera unitaria tutti i giovani con background migratorio, sia a livello nazionale sia internazionale. 

Infatti, secondo la presidente, lo Jus Italiae, che assegnerebbe la cittadinanza allo straniero nato in Italia o che è arrivato entro il compimento del quinto anno di età, ma risiedendo ininterrottamente per dieci anni in Italia e che abbia frequenta e superato le classi della scuola dell’obbligo,  porta con sé dei rischi da non sottovalutare, perché “ognuno di noi ha tempi di apprendimento diversi: cosa succederebbe infatti se un bambino non dovesse superare un anno scolastico? Verrebbe penalizzato?” E allora, “meglio andare avanti con richieste più ambiziose o trovare un compromesso?”

Per questo, dice Noura Ghazoui, “abbiamo scelto di prenderci l’impegno di essere parte attiva nel processo verso il referendum cittadinanza. 

Il fatto che così tante persone, giovani e meno giovani, abbiano scelto di farsi sentire, è una testimonianza del desiderio condiviso di un’Italia che riconosca i diritti di chi, pur vivendo e contribuendo quotidianamente alla crescita di questo Paese, non è ancora riconosciuto come cittadino”. 

“L’Italia sta cambiando- sostiene ancora la presidente CoNNGI-,e con essa devono cambiare anche le sue leggi per garantire inclusione e uguaglianza a chi vive, lavora, nasce o cresce qui. 

“Essere italiano non deve essere un percorso esclusivo, ma inclusivo, deve diventare sinonimo di senso di appartenenza, comunità, partecipazione attiva alla vita sociale. I ragazzi con cui parliamo si sentono italiani ancora prima di essere riconosciuti: è un’identità che si costruisce quotidianamente, a scuola, a lavoro, negli itinerari di ogni giorno”.

“L’incontro fra culture è la strada per conoscersi e superare le barriere. La nostra voce, il nostro sguardo sul mondo e i nostri racconti sono alla base del cambiamento.  Una prova del cambiamento in atto è la foto scattata a maggio scorso all’ottava edizione di “Protagonisti – Le nuove generazioni italiane si raccontano”, mentre l’ex ministro Andrea Riccardi e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha dichiarato: “Non si tratta di maggioranza o opposizione ma di un problema umano e vitale per il nostro Paese. Aprire la cittadinanza ai giovani immigrati va fatto, non si può aspettare”.

Infatti, tutti i giorni gli italiani vivono accanto ai cosiddetti stranieri, a un Mohamed, un Fernandez, un Samir persone che si sentono italiane ma a cui non viene riconosciuto il diritto di esserlo.