Dopo un lungo via vai, su varie pressioni il Governo ha infine deciso di confermare la vecchia composizione di metà interni e di metà esterni, con presidente esterno. Meglio così, perché la commissione di soli interni l’abbiamo già sperimentata: un pasticcio.
Al di là del consueto e rituale “in bocca al lupo” ai nostri ragazzi, resta la domanda che tutti comunque si fanno: ma, alla fin fine, a che servono gli esami di maturità oggi?
Non parlo della modifica soprattutto delle prove scritte, in ragione della Riforma del 2010 andata quest’anno a regime, con i nuovi programmi di studio. Già le simulazioni delle seconde prove scritte, elaborate a livello ministeriale, hanno anticipato alcune novità importanti.
Parlo, invece, degli esami di maturità in quanto, per il valore legale del titolo di studio, prove terminali dei singoli percorsi di studio, invece di semplici certificazioni funzionali all’orientamento alle scelte successive.
Resta la questione più psico-sociale che sostanziale, in termini di tradizionale “rito di passaggio”.
Come si vede, materia per una sana discussione ce ne sarebbe. Ma oramai, anche a scuola non si dialoga più, né in collegio docenti né in sala insegnanti né nei dibattiti pubblici: non si dialoga, ma si grida, sempre più forte. E si buttano in faccia solo contrapposizioni, slogan su slogan. Senza sfumature dialettiche, di pensiero. Segno, quest’ultimo, della vera crisi del mondo della scuola, crisi anzitutto culturale e sociale, prima che contrattuale. Come invece si continua a ripetere.
E’ quella crisi che ha portato, negli anni, da un lato al mancato riconoscimento sociale di un ruolo e di una funzione che sono essenziali, invece, per i nostri giovani e per le loro famiglie, e dall’altra ha prodotto la chiusura corporativa del mondo sindacale.
Per liberare energie, in funzione della valorizzazione della professionalità docente, e non, come oggi, della difesa ad oltranza dell’indifendibile, basterebbe approvare due piccole norme: introdurre il limite di due mandati per i sindacalisti (non sarebbe più consentita la carriera del sindacalista, compreso il trampolino di lancio per altri lidi) e le automatiche dimissioni da sindacalista una volta pensionato. Sarebbe una vera rivoluzione, tutta positiva.
Tornando al vivo del mondo della scuola, la cosa che si nota di più è il fatto che non si è più disposti, nei vari dibattiti, a cogliere il positivo delle idee altrui, in vista di un progress funzionale al bene di tutti. Non si discute, ma si polemizza, forti di troppe certezze, e non della “grazia del dubbio”, come direbbe qualcuno.
Sull’esame di maturità, dunque, sarebbe utile iniziare a discutere con serietà e serenità. Serve oggi? E’ chiamato ad una qualche selezione, a celebrare solo un rito di passaggio, a certificare qualcosa? Che non sia più inteso come un lasciapassare verso l’università è cosa scontata, visti i test d’ingresso sempre più richiesti. Compresi i corsi di “grammatica zero” per alcuni percorsi di studio, viste la lacune di tanti nostri ragazzi.
Se si diploma il 97%, ovvio che non servano granchè. Su 400.000 studenti, ben poca cosa. A che serve mettere in piedi una macchina da guerra con 120.000 tra presidi e docenti, con costi per oltre 140 milioni di euro? Una grande macchina messa in moto per non selezionare nessuno. Non sarebbe meglio impegnare questi soldi, visti i tempi, in forme reali di investimento?
Non serve a selezionare per un’altra ragione: pochi giorni prima di questi esami ci sono stati gli scrutini di quinta. Un doppione, quindi. Nel senso che, lo sappiamo bene, gli esami di maturità non faranno altro che ratificare la classifica qualitativa delle conoscenze e abilità dei nostri ragazzi. Un non-senso. Perché non discute di cose essenziali, dentro e fuori della scuola?