In Italia sempre meno giovani laureati si dedicano all’insegnamento. Problema non solo italiano. Tutta l’UE (tranne Croazia e Cipro) ne è afflitta, e ovunque ci si chiede perché. Negli USA università prestigiose come Harvard non formano praticamente più insegnanti. La colpa? “Dello snobismo intellettuale dei laureati”, si dice. In realtà le università statunitensi non incentivano all’insegnamento e non si curano della formazione di chi dovrebbe insegnare. Studenti e laureati percepiscono quindi l’insegnamento scolastico come non appetibile né dignitoso.
Non lo diciamo noi: lo scriveva — già nel 2013 — The Atlantic, prestigiosa rivista statunitense che dal 1857 si occupa d’economia, letteratura, politica estera, scienza politica e tecnologia, e sulla quale pubblicarono personalità del calibro di un Mark Twain e di un Martin Luther King.
A chi serve la Scuola?
Sulla testata online statunitense The 74, specializzata in educazione, la giornalista Amanda Geduld riporta l’opinione di Zid Mancenido, docente di Harvard, il quale ha raccolto le storie di oltre 100 universitari o neolaureati per studiare cosa differenzia le persone categoricamente disinteressate all’insegnamento, quelle interessate all’insegnamento (ma che alla fine perseguono un’altra carriera), e quelle diventate insegnanti. Mancenido sostiene che i laureati d’alto livello sono allontanati dall’insegnamento in seguito ai segnali diretti e indiretti ricevuti dalla società nel suo complesso: interazioni con famiglia e amici; aspettative altrui su di loro e sulle loro carriere; carriere dei laureati più anziani e dei coetanei.
Tutto ciò, nella società neoliberista di oggi, scoraggia chi vorrebbe insegnare. La società, in sostanza, ritiene che insegnare sia sprecare i propri talenti. Negli USA la laurea porta soldi e successo; insegnare, evidentemente, appare come una rinuncia a tutto ciò che di meglio può accadere a un laureato.
La società neoliberista, orientata unicamente al profitto facile e veloce, non coltiva la Scuola come priorità. Investire davvero sulla Scuola significa spendere oggi per raccogliere frutti nei prossimi 25 anni; l’orizzonte del turboliberismo imperante, invece, si ferma alle prossime 20 settimane.
Tutti i docenti europei si lamentano. Eppure tutti sono pagati più dei docenti italiani
In Europa gli insegnanti scarseggiano — secondo gli osservatori e le indagini di ricerca (riportate anche dal canale TV internazionale Euronews) — a causa dei carichi di lavoro troppo gravosi, della poca certezza dell’incarico e dei bassi salari. Tutti gli insegnanti europei lamentano queste difficoltà, anche se pochi Stati europei (Albania, Ungheria e Grecia) pagano gli insegnanti poco come lo Stato italiano. La Germania li paga il doppio, il Lussemburgo quasi il quadruplo.
Disparità salariali abnormi (e vergognose)
I colleghi francesi all’inizio guadagnano poco più degli italiani: alla scuola dell’infanzia 28.385 euro annui (24.297 in Italia); alla secondaria di secondo grado 35.309 (26.114 in Italia). A fine carriera però (ossia dopo 35 anni di servizio) la differenza è abissale: infanzia francese 48.183 euro (35.373 da noi); 60.832 superiori francesi (40.597 italiane). Persino in Spagna c’è una bella differenza con l’Italia: a fine carriera, 46.203 all’infanzia e 51.500 alle superiori.
Dal 2015 i salari degli insegnanti OCSE sono aumentati solo dell’1% annuo; in Italia sono diminuiti dell’1,3%.
Docenti italiani poveri per legge: D.Lgs. 29/1993
Chi dovrebbe provare vergogna per questa disparità non sono gli insegnanti italiani, ma i governanti, che negli ultimi 40 anni hanno fatto a gara per diminuire il potere d’acquisto dei docenti. Il primo colpo di grazia fu il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, che — abolita la Scala mobile nel 1992 — privatizzò il rapporto di lavoro del Pubblico Impiego e vi fece entrare gli insegnanti delle scuole (ma non i docenti universitari, che restarono pubblici dipendenti senza esser indebitamente considerati pubblici impiegati).
2024: docenti con stipendi lordi più alti (ma netti più bassi)?
Lo stesso D.Lgs. 29/1993 legò lo stipendio del Pubblico Impiego all’inflazione “programmata”, condannando impiegati e docenti a perdere progressivamente potere d’acquisto rispetto all’inflazione reale: disastro puntualmente realizzatosi e che continuiamo a veder realizzarsi, fino alla rovina economica totale di qualche milione di persone: i docenti e le loro famiglie.
Valditara si vanta di aver aumentato gli stipendi come nessuno mai: ma i docenti non se ne sono accorti, perché è aumentato il lordo, ma è diminuito il netto, grazie all’incremento di trattenute fiscali e previdenziali, mentre l’inflazione erodeva quanto rimasto. Ed ora i docenti si ritrovano 300 euro mensili in meno in potere d’acquisto rispetto al 2020.
To’, che strano: sempre meno gli aspiranti docenti!
Che sia questo, in Italia, il motivo principale della perdita di attrattiva della professione docente? Probabilmente sì, anche se al fenomeno contribuiscono certamente altri fattori.
La professione docente è diventata non solo scarsamente prestigiosa (per usare un pietoso eufemismo), faticosissima, con poco tempo libero, stracarica di impegni burocratico-amministrativi (avulsi dalla funzione docente); ma persino rischiosa per la salute. Aver portato l’età pensionabile alla soglia dei 70 anni mette a rischio serio la salute mentale e fisica dei docenti, costretti a fronteggiare svariate classi di 30 alunni (e di 60 agguerritissimi genitori).
Da vari anni poi finanche l’integrità fisica è in pericolo. Si verifica in media un’aggressione grave ogni due giorni. Da gennaio 2023 a febbraio 2024 sono state 133 le denunce di violenze subite a scuola dai docenti italiani: 63 perpetrate da studenti, 70 da genitori. Numerose, di certo, quelle non denunciate. La causa? Voti bassi o note disciplinari. I docenti sono diventati il parafulmine preferito della paranoia collettiva, alimentata dai social media e dall’ingravescente ignoranza generalizzata italiota.
Considerato tutto ciò, c’è da stupirsi se i giovani evitano l’insegnamento?