Ieri abbiamo riportato i dati alquanto preoccupanti in merito alle competenze e le conoscenze degli italiani raccolti dalla rilevazione Ocse-Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies). A commentarli è stato il conduttore e giornalista Massimo Gramellini nella sua rubrica su Il Corriere della Sera.
Lo stupore di Gramellini
“La ricerca Ocse secondo cui un laureato italiano sarebbe più ignorante di un diplomato finlandese mi ha lasciato di stucco. I ragazzi delle nostre scuole superiori hanno verifiche praticamente quotidiane e il record mondiale di compiti a casa”, ha esordito.
Gramellini si è chiesto il motivo di questa differenza: “Non mi pare che da noi le lauree si regalino, infatti sono sempre di meno. Allora perché a Helsinki uno sbarbatello del liceo ne sa più di un nostro ‘dottore’? Sarà l’aria frizzante o la zuppa di salmone che stimola le sinapsi? Sono andato a curiosare e ho scoperto che in Finlandia esiste solo la scuola pubblica: il figlio dell’imprenditore va in classe con quello dell’operaio, anzi non ci va proprio perché le classi non esistono e ci si sposta da un gruppo all’altro in base alle necessità di apprendimento”.
“Poi ci sono gli insegnanti, che per diventare tali devono superare selezioni durissime, ma vengono pagati come dirigenti d’azienda, e anche per questo trattati con rispetto da genitori e ragazzi. Nelle interrogazioni, spesso sono gli allievi che fanno le domande e dalla qualità dei loro quesiti i professori capiscono se hanno davvero studiato”, ha aggiunto.
“Quanto ai voti, si assegnano in base alle potenzialità di ciascuno (valutate insindacabilmente dall’insegnante): il 2 preso da chi partiva da 0 vale come il 10 di uno che partiva da 8. Certo, la Finlandia è un posto piccolo, però con idee grandi. Noi siamo un posto grande con idee piccole. E ci siamo anche dimenticati che proprio a scuola avevamo imparato a copiare da quelli più bravi”, ha chiosato.
I dati italiani
Rispetto alla scorsa edizione i risultati sono lievemente peggiorati, con un aumento del 7 per cento (dal 28 al 35) di coloro che non arrivano al livello sufficiente. Secondo il Piaac – che si è svolto nel 2022-23 su un campione di popolazione tra i 16 e i 65 anni in 31 Paesi e in Italia in particolare con un campione di 4847 adulti, rappresentativi di circa 37,4 milioni di persone – i risultati del nostro Paese sono al di sotto della media Ocse.
Per quanto riguarda la “literacy”, cioè la capacità di comprendere un testo, un adulto su tre (il 35%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 – la media Ocse è del 26 per cento – il che significa che “è in grado di comprendere testi brevi ed elenchi organizzati, quando le informazioni sono indicate chiaramente, e può individuare informazioni specifiche e identificare collegamenti rilevanti all’interno di un testo” (livello 1) o che “è in grado di comprendere, al massimo, frasi brevi e semplici” (sotto il livello 1). Se invece consideriamo gli adulti che hanno le competenze adeguate (livello 4 o 5 della scala Ocse), in Italia sono solo il 5 per cento contro una media internazionale del 12 per cento.
Anche in “numeracy”, intesa come la capacità di calcolo, un adulto su tre (il 35%) è “low performer”, cioè fermo al livello 1 o anche sotto. La media dei Paesi Ocse è invece del 25 per cento. Queste persone sanno soltanto “fare calcoli di base con numeri interi o con il denaro, comprendere i decimali e identificare ed estrarre singole informazioni da tabelle o grafici, ma possono avere difficoltà con compiti che richiedono più passaggi (es. risolvere una proporzione). Quanti sono al di sotto del livello 1 sono in grado di sommare e sottrarre numeri piccoli”. Gli “high performer” (livello 4 e 5) in Italia sono soltanto il 6 per cento, meno della metà della media dei Paesi Ocse che si attesta al 14 per cento.
Infine nell’ambito del “problem solving” quasi la metà degli italiani è totalmente insufficiente (46 per cento sotto o pari al livello 1 contro una media Ocse del 29 per cento): i risultati sono inferiori anche a quelli del Portogallo. Coloro che si trovano in questa situazione hanno “difficoltà con problemi che presentano più passaggi o che richiedono il monitoraggio di più variabili”. Circa l’1% degli adulti invece ha ottenuto un punteggio di livello 4 o 5: un risultato molto inferiore alla media Ocse che è del 5 per cento.
Ma il dato più drammatico è quello che riguarda gli adulti che non ottengono la sufficienza in nessuna di queste tre competenze fondamentali e che, in quanto tali, sono ad alto rischio di esclusione economica e sociale. Da noi sono il 26 per cento (contro il 20 per cento della Francia e il 15 della Germania): un cittadino italiano su quattro. Non solo: mentre in quasi tutti gli altri Paesi la fascia d’età in assoluto più qualificata è quella dei giovani fra i 25 e i 34 anni, da noi il declino delle competenze comincia già dopo i 24 anni e le opportunità di lifelong learning restano ancora pochissime.