Un’insegnante di italiano, storia e inglese presso una scuola elementare di Pomezia, è un esempio di resilienza e dedizione. Arrivata in Italia dalla Somalia negli anni ’70 per cure mediche, ha superato difficoltà fisiche e barriere sociali, fino a diventare una docente appassionata e un punto di riferimento per i suoi studenti.
La sua esperienza personale, segnata dalla poliomielite e da episodi di discriminazione, le ha insegnato il valore della diversità. Da un’intervista al Corriere ha dichiarato: “I bambini mi vedono per quella che sono: una persona con una carrozzina blu piena di adesivi, che loro trovano normale!”. In classe, la docente porta poesia e culture diverse, mescolando i versi di Ungaretti a quelli afroamericani di Langston Hughes o alle poesie palestinesi di Mahmud Darwish, per insegnare empatia e arricchire le prospettive dei suoi alunni.
Secondo la maestra, la scuola deve essere un luogo sicuro, capace di accogliere tutti. “Abbiamo studenti italiani, neoarrivati e seconde generazioni: è necessario potenziare l’insegnamento dell’italiano L2 durante l’orario scolastico, così che tutti possano lavorare insieme”. Critica l’eccessiva attenzione al mondo del lavoro: “Prima bisogna insegnare a imparare, poi scegliere la propria strada”.
L’inclusione, per la donna, parte da piccoli gesti: pronunciare correttamente i nomi degli studenti, conoscere le loro tradizioni, celebrare anche le loro feste. “L’accoglienza nasce dal riconoscere l’altro. Se non siamo pronti noi adulti, come possiamo insegnare ai bambini a vivere serenamente?”.
Nonostante i progressi nell’antirazzismo e nell’inclusione, l’insegnante osserva con amarezza come il razzismo oggi venga spesso rivendicato apertamente. Tuttavia, trova conforto nella curiosità e nell’empatia dei più piccoli, che si preoccupano per le sue difficoltà logistiche e dimostrano di saper guardare oltre le differenze. Mentre con i colleghi ha avuto qualche problema di discriminazione: “Tempo fa c’era una collega che durante il collegio dei docenti mi diceva: ‘Tu come la pensi, cioccolatino?‘. Le sembrava di usare un vezzeggiativo. Le ho fatto notare che se voleva usare un tono affettuoso avrebbe potuto chiamarmi con un diminutivo. La collega si è offesa”.
Cosa cambierebbe nella scuola? “Semplificherei la scuola: meno progetti inutili, più risorse per sicurezza, arredi e un’educazione che aiuti a pensare criticamente”, conclude la docente.