A scuola e negli atenei, e poi nel mondo del lavoro, i ragazzi transessuali risultano spesso oggetto di scherno e di aggressioni: il 66,1% delle persone trans e non binarie la cui identità di genere è visibile o riconoscibile, quindi due su tre, si è sentita discriminata a scuola o all’università. La mancanza di sensibilità e rispetto verso i transessuali prosegue anche dopo gli studi: oltre l’80% sostiene di avere vissuto una micro aggressione avvenuta in ambito lavorativo legata all’identità di genere. E la metà almeno un evento di discriminazione nella ricerca di lavoro per lo stesso motivo. Il 46,4% non ha partecipato a un colloquio perché la propria identità (trans o non binaria) ne avrebbe condizionato negativamente l’esito e il 40,6% con un lavoro dipendente dice di aver subito discriminazioni. Le percentuali sono state prodotte da Istat e Unar, al termine di una indagine sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone trans e non binarie basata su un campione di 630 persone, formato esclusivamente da persone che su base volontaria hanno scelto di rispondere al questionario.
Dalla rilevazione risulta anche che il 37,1% dei rispondenti trans e con identità di genere non binaria, occupati o ex-occupati in Italia, afferma di avere sperimentato un clima ostile o un’aggressione nel proprio ambiente di lavoro per ragioni legate all’identità di genere.
Inoltre, il 57,1% delle persone occupate o ex-occupate intervistate ritiene che la propria identità di genere trans o non binaria abbia costituito uno svantaggio nel corso della vita lavorativa, nella carriera, nella crescita professionale, nel riconoscimento e apprezzamento, nel reddito o nella retribuzione.
I trans, sostiene l’Istat, avrebbero estremo bisogno di trovare rifugio in strutture protette, in grado di accoglierli, ma questi servizi quasi sempre sono inesistenti o inadeguati rispetto ai loro bisogni.
Il clima ostile e le forme di aggressione riguardano spesso l’essere stati umiliati, calunniati o derisi (29,6%); seguono con incidenze simili l’aver subito minacce in forma verbale o scritta (12,2%), l’aver ricevuto molestie di tipo sessuale (11,9%) e l’essere privati totalmente di compiti da svolgere o esclusi da riunioni (11,6%). Il 6,8% riporta di aver ricevuto controlli disciplinari immotivati.
Sei rispondenti su 10 maggiorenni affermano di aver acquisito consapevolezza dell’attuale identità di genere trans o non binaria entro i 20 anni.
Il primo coming out è avvenuto per 3 persone su 10 (31%) tra i 15 e i 20 anni.
Analizzando la reazione dei genitori dinanzi alla notizi del proprio figlio non eterosessuale,
emerge che per un quarto dei rispondenti (25,6%) la madre non era contenta, ma ha accettato l’identità di genere dei figli, mentre in oltre un quinto dei casi (21,4%) ha avuto una reazione positiva. Al contrario, le madri hanno avuto una reazione negativa per il 16,2% dei rispondenti, in misura maggiore nel caso di una figlia trans (23% a fronte del 14,3% nel caso di figli con identità non binaria).
Quanto ai padri, il 36,8% non è a conoscenza dell’identità di genere dei figli. Tra i padri è inoltre più diffusa una reazione di indifferenza che riguarda l’11,1% (a fronte del 6% delle madri).