E’ stato ‘scongelato’ per la prima volta con successo un cervello: è quello di un coniglio e le cellule cerebrali, dopo essere state portate a temperature bassissime, non presentano danni. E’ solo un primo risultato, ma abbastanza per accendere gli entusiasmi sulla possibilità di ibernare in futuro il cervello umano.
La tecnica, messa a punto da Gregory Fahy e Robert McIntyre dell’azienda californiana 21st Century Medicine e descritta sulla rivista Journal of Cryobiology, riesce a prevenire la disidratazione drenando il sangue e sostituendolo immediatamente con una sostanza che protegge i tessuti dalla formazione di cristalli di ghiaccio.
Ibernare un cervello umano, o più in generale conservare un intero organo complesso e non solo singole cellule, per poi riportarlo in funzione è un sogno per ora irrealizzabile a causa di enormi ostacoli tecnici. Tra questi ci sono i danni prodotti dal freddo. Le cellule contengono infatti grandi quantità di acqua che a basse temperature formano cristalli di ghiaccio che facilmente lesionano le pareti cellulari.
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Per evitare la formazione del ghiaccio i ricercatori sono riusciti a rimpiazzare parte dell’acqua con una molecola (glutaraldeide) che protegge le cellule dai pericoli del congelamento e ne previene la disidratazione.
Il cervello è stato così raffreddato a -135 gradi centigradi e, una volta ‘scongelato’, non ha presentato nessun segno di danni. La tecnica è ancora lontana dal poter permettere di riattivare l’organo ibernato, anche perché la molecola usata risulta tossica, ma rappresenta in ogni caso un importante passo in avanti, tanto da aver ottenuto un premio di 26.000 dollari dalla Brain Preservation Foundation.
Nonostante non ci siano efficaci tecniche di ibernazione umana si stima che già oltre 100 persone hanno fatto ‘surgelare’ dopo la morte il proprio cervello ad aziende private, come la Alcor, sperando che in futuro diventi possibile riportarli in funzione. (Ansa)