E così, di Governo in Governo, di riforma in riforma, la Scuola italiana brucia le proprie generazioni nell’assoluta incapacità di guardare con coraggio e verità a quelle che sono le reali motivazioni delle disfunzioni educative nel nostro sistema di istruzione e che, ahimè, minano “ab imis” il futuro stesso dell’Istituzione. Operare riforme che possano concretamente “raddrizzarne la rotta” non è cosa che possa farsi con le chiacchiere, né con gli spot televisivi o con l’ erogazione di un “Bonus” di poche centinaia di euro ai docenti: dove la conoscenza ed il coraggio morale sono assenti è tutto tempo perso, vuoti sofismi di adulti che, sperimentando sulla pelle di fanciulli e ragazzi goffe alchimie, ne suggellano di fatto i loro continui fallimenti.
Cos’è veramente e cosa dovrebbe essere oggi la Scuola?
Sempre che una Scuola, intesa come luogo di formazione delle nuove generazioni, in cui si trasmette cultura attraverso il costante dialogo educativo, sia ancora possibile. Sappiamo che l’ insegnante nella Scuola a tutti i livelli , ma in special modo in quella di base, si pone nell’ottica di formare l’ alunno trasmettendo e rivitalizzando il sapere attraverso le discipline di studio e supportandosi con ogni altro strumento idoneo.
Si tratta di un costante, impegnativo ed autorevole esercizio che, ai fini del successo scolastico, richiede certo preparazione, aggiornamento, entusiasmo per il proprio lavoro e genuino interesse per l’ allievo come persona, ma che comunque è destinato a vanificarsi se non è supportato da forme di corresponsabilità da parte dell’allievo stesso e della famiglia.
Purtroppo oggi, la Scuola, si ritrova a doversi confrontare con una tipologia di famiglia che versa in una crisi profonda e che avendo, ormai da tempo, rinunciato al proprio ruolo genitoriale dalla Scuola “esige e pretende”. Una famiglia spesso assente, che demanda alla Scuola ogni responsabilità sulla formazione dei propri figli o peggio ancora che, ingerendo con varie forme di disimpegno morale, finisce per logorarne le migliori energie.
E così, anno dopo anno, mentre assistiamo ad un penoso disegno di “Scuola dalle mille educazioni” che, venendo meno al suo precipuo compito di trasmettere cultura, finisce per non istruire e non educare, accettiamo di fatto l’ idea di una Scuola dove tutto si consente e nulla si deve e che, sempre più spesso, ci costringe al confronto, all’interno di essa, con realtà a dir poco raccapriccianti.
Anno dopo anno i nostri ragazzi, sempre più demotivati ed irrequieti, si alimentano nella convinzione che nulla loro debbano e che tutto loro possano: arrivare in ritardo a scuola , non impegnarsi nello studio, inveire con toni arroganti e persino volgari, prendere in giro i compagni più diligenti, picchiare quelli più deboli ed indifesi (e la lista potrebbe allungarsi all’infinito). Fuori da ogni controllo e crudelmente consapevoli che tanto, alla fine, ogni colpa ricadrà sempre e comunque sugli altri e sul docente in particolare: che non è stato in grado di suscitare l’interesse per lo studio o che non ha saputo vigilare.
Quando poi succede che qualche insegnante un po’ più coraggioso o magari solo “stremato” dal dover seguire e preparare classi sempre più numerose e vivaci, dovendo spesso gestire, all’interno di esse, anche situazioni complesse di alunni con bisogni educativi speciali ( BES – DSA ), senza alcun supporto di personale specializzato; quando un tale insegnante osa spingersi, verso un allievo indisciplinato, in un severo e doveroso richiamo, quest’ ultimo viene visto dall’alunno e dalla famiglia come lesivo del proprio operato , anziché come invito ad una presa di coscienza delle sue responsabilità.
E così la Scuola legittimando comportamenti ipocritamente “buonisti”, per mascherare l’incapacità di gestire con fermezza situazioni complesse quali: correggere, indirizzare, educare moralmente e culturalmente i nostri giovani, ha finito per demandare ad altri, perennemente attivi nella vita sociale ed esterni alla Scuola, un compito che era soprattutto suo, rinunciando di fatto al suo mandato sociale.
Ed allora? A che serve questa Scuola?
Serve, nonostante tutto, è necessaria, indispensabile!
Partiamo intanto dal presupposto che oggi la Scuola, in quanto alta istituzione educativa, non può permettersi il lusso di “ piangersi addosso” nascondendosi dietro l’alibi della crisi dei valori, ma dovrà in ogni caso trovare il coraggio di fare fronte ai propri doveri ed alle proprie responsabilità. Dovrà fornirsi di tutti gli strumenti che ha a disposizione e all’ occorrenza crearne di nuovi, per fare fronte alle sfide che la formazione dei giovani impone: imparando dai propri errori, ripristinando autorevolezza, serietà negli studi, merito, cultura.
La Scuola dovrà prospettarsi, oggi più che mai, come luogo dell’ impegno assiduo e del rispetto delle regole, che permette al ragazzo il piacere del lavoro svolto e dei risultati ottenuti e dove la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti, insieme al riconoscimento del valore dell’ altro lo avvieranno verso la formazione della personalità e del carattere. Sarà compito di una Scuola seria e di qualità promuoverne le eccellenze, che sicuramente ci sono ma che faticano a trovare una giusta collocazione, sostenendole a “ non accasciarsi” difronte alla mediocrità ed al pressappochismo culturale che mortificano ormai, da troppo tempo, il tessuto scolastico italiano.
Sarà compito di una Scuola seria e di qualità condurre migliaia di giovani, obnubilati dai “falsi profeti”, alla consapevolezza ed alla presa di coscienza dei loro errori, servendosi all’occorrenza di una guida severa e coraggiosa. Ed infine sarà compito di una Scuola degna di tale nome, operare un reale recupero delle conoscenze e delle abilità nei più fragili, procedendo con coraggio e verità.
Nessuno nega che esistono nella Scuola situazioni di disagio, che richiedono un trattamento specifico con l’aiuto di personale specializzato, ma fare della Scuola un “cronicario di disagi giovanili” è solo tradimento per le nuove generazioni e rappresenta la negazione stessa dell’Istituzione.
Ed allora, in presenza di lacune di base nell’alunno, di lenti ritmi di apprendimento, ed ancora di carenza d’impegno e deresponsabilizzazione diffusa, afflitti da ingiustificati sensi di colpa per non aver potuto operare il miracolo, cosa faremo?
E cosa faremo ancora quando ci saremo accorti che i “debiti” e la conseguente difficoltà nell’apprendere, commista a frustrazione diffusa nell’alunno, si trascineranno “sine die”?
Evocando generiche motivazioni socio – pedagogiche o forse una presunta quanto illusoria maturità personale dell’allievo, continueremo ad alimentare illusioni ed inganni? Pur sapendo che migliaia di giovani affidano alla Scuola la loro unica possibilità di uscire dai limiti di condizionamento nei quali sono posti? E che quella con cui essi, prima o poi, si dovranno misurare sarà una società fortemente competitiva e mal disposta ad istanze egalitarie? Stiamo parlando di una società, la nostra, in continua evoluzione dove il sapere si espande a ritmi esponenziali, in cui non sarà mai permesso un inserimento dignitoso a chi, domani, seppur con motivazioni di ordine sociale, personale o familiare si presenterà privo di strumenti.
Continuando ad illudere e ad illuderci, rifiutandoci di guardare con occhi consapevoli le cose, continueremo inevitabilmente a condannare i nostri giovani non solo alle sofferenze derivanti da disagi sociali e personali, ma anche a quelli ben più gravi derivanti da ciò che gli economisti chiamano “del mercato del lavoro onirico” (che esiste solo nei sogni).
Una Scuola è ancora possibile, il punto è: mantenerne salde le radici, sottraendola ad ogni forma di colonizzazione culturale, “raddrizzarne la rotta” servendosi del cervello e del cuore, per restituire ad essa ed al nostro Paese le ragioni della loro forza.