Il sito internet del “Corriere della Sera“ pubblica il racconto della prof.ssa Roberta Romussi del liceo Carducci di Milano dopo il primo giorno di scuola:
“Faccio l’appello in Aula magna e su per le scale. Per loro: scuola nuova, primo giorno della prima Liceo, scale nuove, facce nuove. Per me: la mia scuola, scale mille volte salite e scese, ennesimo primo giorno del Liceo classico da sempre, facce nuove. Quindi la prima cosa è la faccia: su questo siamo tutti nuovi e questo sarà oggi il principale terreno di confronto.
Iniziamo coi saluti e le presentazioni di tutti i professori della classe; comincio io, la Coordinatrice. Racconto loro la storia dell’archeologo Manolis Andronikos, la cui bellissima faccia, con gli occhialoni e la barba, ho visto in fotografia più volte questa estate nel mio viaggio nel Nord della Grecia. Andronikos ha cercato per 20 anni le tombe degli antichi re macedoni, ha studiato e formulato ipotesi, ha avuto ragione: il sito di Aegae, l’antica capitale della Macedonia, era a Vergina e non a Edessa come si pensava. Ha scavato e ha trovato. Ha tenuto in mano le ossa di Filippo II, il padre di Alessandro, e ha pianto. Cosa lo ha condotto al successo? Certamente lo studio, le conoscenze, il ragionamento, ma anche l’immaginazione, la capacità di vedere come dovevano essere andate le cose, anche quando le fonti tacevano, la forza di figurarsi i luoghi anche quando erano scomparsi, la visione dove era buio. Ecco. Per iniziare a studiare il mondo antico, occorre non vederlo come un Museo, dove tutto è ben raccolto e classificato: il mondo antico è piuttosto un mare (e qui cito Luciano Canfora) in cui emergono degli isolotti, ma la maggior parte del territorio e delle opere è sommerso, è sotto, e bisogna immergersi con curiosità e immaginazione per approssimare una qualche conoscenza di esso.
Mi sembra un bel discorso e infatti i colleghi con me lo riprendono per tutte le materie: ci vuole curiosità, iniziativa, disponibilità a mettersi in gioco (la faccia di Einstein). Eppure gli studenti restano freddini, per quanto sia possibile nel caldo tropicale di questa giornata, qui in trenta nell’aula serra. Certo: che ne sanno loro di mondo antico? Hanno studiato la storia greca alle Elementari e qualcuno afferma di non ricordarsi niente. Ha senso parlarne prima ancora di farne esperienza? Domani ci riprovo in IV e so che gli sguardi saranno diversi.
Mmm… Quando i colleghi escono e resto sola con la classe, cambio strategia e mi butto in mezzo, ribaltando lo schema: mi metto a passeggiare in mezzo ai banchi e chiamo uno per uno i ragazzi, invitandoli a uscire dalla postazione e mettersi di fronte alla classe. Io sto in piedi in fondo e rivolgo loro alcune domande: da che scuola vieni? Dove abiti? Quanto ci metti a venire a scuola? Perché hai scelto il Liceo classico? Perché il Carducci? Come studi? Quanto studi? Cosa ti aspetti? Conosci l’origine e il significato del tuo nome? Etc. Così ci guardiamo un po’ tutti in faccia e butto lì un po’ di parole greche.
E allora si sciolgono. Parlano abbastanza liberamente, chi più chi meno, usano un lessico familiare, dove «un sacco» e «tipo» ricorrono con frequenza sostenuta, non costruiscono, se non qua e là, ma reagiscono naturalmente. I ragazzi del Liceo classico vengono spesso descritti come ingessati, ma non mi pare lo siano. Sono educati e vestiti sobriamente, specie il primo giorno di scuola, (fra l’altro, discutiamo anche del fatto che Greci e Romani non usavano i pantaloni), ma sono diretti e franchi. Più che alle loro parole, bado al linguaggio non verbale: non vedo gessi.
Hanno scelto il Liceo classico quasi tutti sull’onda di un interesse particolare per la Storia e la Letteratura, un interesse che assomiglia molto a un «mi piace». Nessuno parla del futuro inteso come Università («questa scuola mi preparerà meglio, qualsiasi Facoltà dovessi scegliere in futuro»), che era l’argomentazione più frequente qualche anno fa, ma del presente, dei loro attuali gusti, dell’impressione che hanno avuto della scuola all’Open day. E io mi commuovo di fronte al miracolo di ragazzi di 14 anni nel 2016 che sono disposti a giocarsi un «like» sul Greco e il Latino, che in alcuni casi se lo giocano contro l’opinione dei genitori («i miei mi dicevano che il Greco è inutile») e non soddisfano attese e pretese familiari, ma un loro piacere. Certo, non sanno ancora di cosa stanno parlando, ma piace loro l’idea di studiare lingue antiche, di incontrare una cultura che in alcuni casi, pochissimi, ma sempre più numerosi, non è neanche quella di origine delle loro famiglie. La sfida sarà non soffocare questo piacere. Ed è sfida che fa tremare le vene e i polsi.
Dall’aula accanto si ode «Lo schiaccianoci»: è la sezione musicale. «Domani ci facciamo sentire anche noi», dichiaro, perché siamo la sezione teatrale, dove per 30 ore all’anno si fa teatro nelle ore del mattino. Ridono, mi sembrano contenti: se decidono di giocare sul serio –penso- allora vinciamo tutti. La porta è aperta (si soffoca) e in corridoio passano alcuni miei studenti più grandi. Si fermano a salutare e io chiedo loro di venire all’Intervallo in cortile a fare delle foto per l’articolo che devo scrivere. Accettano e, saltellando via, ridono, esclamando: «Uh! Domani siamo sul Corriereeeeee”.