Accanto ad altra occupazione, mettici anche una carriera della durata di 26 anni, via, via aggiungendo lauree, specializzazioni, esperienze internazionali di strategie di insegnamento attivo, proattivo, interattivo, esperienziale e di metodi di studio..Quindi, un po’ anche per stanchezza, ho smesso. Mi sono messa in auto-pre-pensionamento.
Mi sono specializzata per (e con) ipovedenti, bambini DSA con disturbi specifici dell’apprendimento, che allora si chiamavano somari, svogliati, problematici e irrequieti, che già sfidavano il sistema di militarizzazione dilagante e la smania da scolarizzazione precoce.
Questi, con me, potevano stare seduti per terra, con le gambe all’aria, in ginocchio sullo sgabello in posizioni degne del circo Orfei, o guardare sognanti fuori dalla finestra, che poco importava, perché loro erano in modalità attiva a quel modo. Sarei stata pronta per una cattedra di Sostegno alla Motivazione; la mia materia l’ho sempre amata così tanto, ma non avrei mai potuto “insegnarla” a scuola. Non avrei mai avuto la tenacia e i peli sullo stomaco che hanno i docenti, specialmente oggi, di fronte al sopruso che si sta perpetrando ai danni della nostra scuola, nei loro confronti, ma, in primo luogo nei confronti dei bambini e dei ragazzi, che sono l’unico motivo attorno al quale tutto ruota (o dovrebbe).
Eppure accade che nelle riforme, nelle lotte di categoria, negli stessi consigli di classe, a casa, essi vengono dimenticati. Non sempre, ma spesso. Tra i miei più cari amici, si annoverano docenti che la buona scuola l’hanno sempre fatta e continueranno a farla, con poche risorse (le stesse degli altri), perché la scuola sono loro. Ma sono troppo pochi. Noi genitori, a casa, facciamo il resto e riusciamo a distruggere quello che questi costruiscono di buono. Diabolico. Ma non sempre… Essi non aspettano le riforme, ma sanno recitare a memoria le Indicazioni Nazionali di Curriculo, Rodari e Mario Lodi. Spesso sono “imparentati” in Montessori, senza portarne parentela diretta o qualifica scritta.
Per quanto mi riguarda, come “insegnante non di ruolo”, né lontanamente precaria, un ruolo, tuttavia, l’ho sempre avuto, un “segno”, credo di averlo lasciato. Ma non era giusto. Non toccava a me. E ho smesso. Amen. Sono consapevole di aver contribuito al percorso di costruzione (più sovente ricostruzione) dell’autostima di alcuni bambini e ragazzi,ancor prima che di un apprendimento. Sfiduciati, quasi sempre molto intelligenti, entravano col muso e uscivano col sorriso. Questa è una soddisfazione che porterò sempre con me. Alcuni venivano per bisogno, altri perché mandati in modalità coercitiva da docenti e madri con ansie da performance, all’inseguimento del voto più alto o della bella figura. E allora la prima lezione era per le madri; fatto questo, a volte, i figli non iniziavano nemmeno (almeno non con me) o comunque mai per periodi lunghi tali da gravare sull’economia domestica in modo irreparabile e fino a quando capivo che non ce n’era più bisogno.
Più spesso non ce n’era proprio bisogno. Dall’altro lato ho, però, raccolto “giovani relitti” di 11-12 anni, rifioriti nella fiducia, e allora anche i bei voti fioccavano anche solo dopo due “sedute”, per la gioa loro e delle mamme. (Qualche domanda madri e insegnanti se le saranno dovute pure fare!) Il primo giorno, entravano in studio o nella loro stessa cameretta, con ogni tipo di malessere psicosomatico, dal mal di pancia, al mal di testa, dalla depressione preadolescenziale, al mal di scuola conclamato (tra tutti il peggiore), ma se lo dimenticavano di lì a poco.
Le sessioni erano vere e proprie sedute di psicanalisi domestica. Si chiacchierava molto prima di iniziare. Io li ascoltavo e loro svuotavano il vaso di Pandora che avevano riempito nei giorni precedenti (poi però si riempiva di nuovo). L’accordo era ‘mi pagate solo per un’ora’, ma oscillavo sempre tra l’ora e mezza e le due, conforme alla gravità e ai miei impegni. Non sapevo bene quanto questo stato di benessere sarebbe durato, ma sul momento era percepibile; spesso, infatti, dovevo ricominciare dal capitolo I, intitolato “io ce la posso fare”, oppure “aiutami a fare da solo”. Mai sentito uno annoiarsi o dire che non voleva più venire. Quando erano pronti per affrontare il “là fuori” (o “là dentro”) da soli, com’era giusto che fosse, li salutavo: con una stretta di mano o una pacca, ai ragazzi, e un abbraccio alle ragazze, che avevano condiviso con me gioe e dolori, successi e insuccessi e qualche pettegolezzo.
A volte avevano una gamba ingessata, a volte un braccio rotto, una non c’è più…Le nostre lezioni durarono un anno circa, sempre troppo poco, ed era lei a dare lezioni a me, dalla sua gabbia di ferro che intrappolava un corpicino di cristallo divorato, ma la mente, acuta e volitiva, quella volava anni luce dalla nostra mediocrità…Elena era bionda, biondissima, pelle color del latte; un giorno mi telefonarono di non andare più, ché non ce n’era più bisogno…Simona, me la ricordo ancora benissimo, era piccola di statura e cieca (diceva “ipovedente”, ma non ci vedeva un tubo, ve l’assicuro). Faceva finta di vederci qualcosa, perché non vedente non le piaceva!
La battuta più frequente era “Simona guarda bene, ci stai arrivando… apri bene gli occhi, che sei vicina alla risposta giusta!”, e giù a ridere. In realtà ci vedeva benissimo, o meglio, sapeva vederci lontano. Mi accoglievano nelle loro camerette colorate. Ne ho viste tantissime e di ogni tipo! Quasi sempre ordinate (forse dalle madri prima che arrivassi?), ma sempre stipate di cose quasi inutili a un bambino. A portata di mano, cartelle, zaini da spedizione sul K2, astucci per ogni tipologia di penna e pesantissimi libri di testo. Sentivi l’odore acre dei libri semi nuovi, rigorosamente fasciati in copertine che sapevano di petrolio; quelli con la carta semilucida che ha con un peso specifico pari al piombo e su cui non puoi scrivere con la matita perché sdrucciola sulla pagina (e comunque la maestra non vuole perché li vuole sul quaderno).
I libri, quelli veri, invece, profumano; sanno di parole e di alberi. Ma raramente sentivo profumo di sottobosco. Tutto questo, mentre il Piccolo Principe, La fabbrica di cioccolato equalche Rodari piangevano, negletti, sullo scaffale più inaccessibile, impolverato di dimenticanza. Erano camerette piene di macchinine in bella mostra, Gormiti impolverati e Barbie, sempre troppo in alto o troppo in angolo, o troppo in cantina, simboli di un’infanzia perduta troppo presto. Gioivo quando vedevo, invece, lenzuoli di disegni liberi appesi in ogni dove, pennarelli per terra e lego che ti si infilavano dappertutto. Quella sì che era una cameretta seria!
Poi, però, ho smesso di entrare in quelle intimità. Non perché non mi piacesse, ma per principio. E contro i miei interessi. Oggi si spende una media di 27 euro per una lezione, tra professori in pensione (o ancora in ruolo) che chiedono anche 35 -40 euro e lo studente universitario che si aggira sui 10-15, questa è la media. La media è tra le più alte d’Europa e l’Italia, il paese in cui più fiorente è il mercato nero del sapere. Confesso che ho sempre fatto un distinguo, cercando di modulare il prezzo su “fasce di reddito” che determinavo senza chiedere il 730!
Al di là della collezione di titoli accademici chiedevo poco più dello studente, e cercavo di ridurre al minimo gli interventi di salvezza, per lo più per dar loro fiducia. Una chiacchierata sul perché è lì e poi qualche dritta e si convincevano che infatti non ne avrebbero avuto bisogno. I ragazzi si convincevano, le madri erano quelle più difficili…Poi ho smesso e ho proprio sprangato la porta; qualcuno ci tenta ancora “a bussare” e allora non nego un colloquio (gratis), per capire cosa stanno mendicando e che la scuola non possa e debba dare. Docenti e genitori, ricordiamoci di non alimentare il circolo vizioso dei compiti e delle ripetizioni e, così, il mercato nero del sapere. La scuola è di tutti e per tutti. E’ dovere di quest’ultima assicurare il successo scolastico ed è un diritto dei ragazzi.
Ho smesso anche per non speculare sulla pratica insensata dell’assegnazione dei compiti anche dopo otto ore di scuola, con l’evidente ingerenza nel menage familiare che vede genitori, nonni e tutor vari (appunto), quali succursali pomeridiane e serali dei vari comprensivi. Lasciateci fare i genitori, i nonni e i bambini. Per non parlare dell’effetto discriminatorio che premia i bravi e discrimina i meno bravi e le situazioni familiari disagiate.
Per questo vi rimando alla Campagna Basta Compiti di Maurizio Parodi (https://www.change.org/p/genitori-docenti-dirigenti-scolastici-campagna-basta-compiti), che ben delinea i dieci motivi del perché i compiti a casa nella scuola dell’obbligo, siano assurdi. Tesi altresì sostenuta anche da studi del settore internazionali e ventennali, che ne attestano l’insignificanza di incidenza sulle performance e più spesso l’effetto controproducente sul benessere dei bambini in età dello sviluppo. Secondo l’OMS l’Italia è il paese con il maggior numero di ragazzi che soffrono di malattie depressive nel range di età tra gli 11 e i 17 anni e secondo l’OCSE siamo il paese al primo posto per monte ore di media per compiti a casa, ma al penultimo per competenze. I paesi che hanno meno ore di scuola (19 la Finlandia), meno compiti a casa (se non nessuno), sono al primo posto in classifica per competenze e benessere del sistema. Giocano molto e imparano di più.
E sono felici. Sono felici gli insegnanti, i genitori e i bambini. Perché ognuno ha un ruolo ben definito nella società, condiviso e valorizzato. Per primi i bambini, che fanno i bambini. Quando ci faremo qualche domanda, sarà sempre troppo tardi, ma meglio tardi che mai.
Ho smesso per non essere connivente con questo sistema mafioso, che produce qualcosa come 800 milioni di euro all’anno. La metà degli studenti delle scuole superiori dichiara di avvalersi di ripetizioni private oltre l’orario scolastico. Il 90% delle lezioni private non sono dichiarate al fisco. Il giro d’affari sommerso è spaventoso. Gli studenti italiani sono tra i più impegnati al mondo per tempo dedicato ai compiti, allo studio a casa e alle lezioni di recupero. Ecco. Io non ci sto. Ho tre figli. Se mai non dovessero farcela da soli, perché di certo non sono alla caccia del voto alto, ebbene quanto mi costerebbe?
Ho smesso per non contribuire alla costruzione di questo alibi sistematico: è altamente improprio che la scuola demandi a casa ciò che non riesce a fare, con la pretesa di arrogarsi solo i successi e mai gli insuccessi, quelli sono sempre colpa della “scuola domestica” che non sa impostare un metodo di studio (sì anche quello ci è demandato), che non studia abbastanza, che in qualche caso “perde tempo” a giocare a “mamma casetta”, che sceglie i tutor pomeridiani sbagliati, nonni troppo anziani, genitori troppo lavoratori o troppo stranieri…Insomma che non si applica! Un paradosso paradossale!
Ho sognato che un giorno la scuola italiana si faceva unesame di coscienza ed iniziava a mettersi in discussione…ma temo fossero gli anni Settanta? Ottanta? Dopo di che ho smesso di sognare e iniziato ad avere incubi! Serve una rivoluzione copernicana del sistema scuola, attraverso una rivoluzione delle menti, nella ridefinizione delle priorità e delle motivazioni. Serve molto o molto poco. Dipende.
In questo solo l’onesta sinergia di tutti gli attori, nella condivisione di intenti e della passione del sapere, può essere strategicamente educativa, imprescindibilmente dalla riorganizzazione delle priorità, la ridefinizione dei ruoli e la costruzione di relazioni in tempi (lenti) e modi che tornino ad essere quelli di un bambino, di un ragazzo e non di un un’entità astratta e precocemente “adultizzata”, precocemente scolarizzata, al prezzo di un’infanzia bruciata. Non servono solo e sempre riforme, ma la messa in discussione di ciascuno. Serve cambiare le menti e quelle non ce le cambia né il governo, né il ministero, né la busta paga (sebbene potrebbero essere di indubbio ausilio). “Che ognuno debba cominciare da se stesso è un concetto di gran lunga troppo impopolare, e così anche qui tutto resta com’è.” (C.G. Jung).
Anche per questo ho smesso