La vicenda della maestra L.A. di Volpiano è a dir poco incredibile.
Sottoposta a procedimento disciplinare, processata e assolta con formula piena è tuttora in attesa di essere riammessa in servizio semplicemente perchè il Ministero sta aspettando di avere in mano la sentenza del giudice con le relative motivazioni.
Ma il dramma è ancora più pesante di quanto questa sommaria ricostruzione faccia trasparire, perchè l’intera vicenda era iniziata esattamente 4 anni fa.
Nell’autunno del 2012, infatti, su un giornale locale era comparsa una intervista ad un genitore che – in modo del tutto anonimo – accusava l’insegnante della classe del figlio di ricorrere a metodi un po’ bruschi ed eccessivi.
La dirigente scolastica intuisce che si tratta proprio della maestra L.A. e trasmette subito copia dell’intervista alla Procura della Repubblica e apre un procedimento disciplinare nei confronti dell’insegnante.
Esito del procedimento: una settimana di sospensione dal servizio.
A questo punto la maestra si rivolge al giudice del lavoro che annulla il provvedimento con la motivazione che la sospensione non rientra nelle sanzioni che possono essere comminate dal dirigente scolastico, nonostante quanto scritto nel decreto Brunetta 150 del 2009.
Ma per l’insegnante i guai veri dovevano ancora iniziare.
Nella primavera 2013 la Procura le comunica di aver aperto un fascicolo a suo carico e nell’estate del 2014 la rinvia a giudizio.
A questo punto l’Usr del Piemonte decide di sospendere cautelarmente l’insegnante in attesa che il processo si concluda.
Nel luglio 2016 arriva finalmente la sentenza: L.A. viene assolta “perchè il fatto non sussiste” e dunque con formula piena.
E così la maestra pensa che a settembre avrebbe potuto riprendere il lavoro.
Ma non fa i conti con la cecità dell’apparato burocratico: per poterla riammettere in servizio l’Usr del Piemonte vuole leggere la sentenza e le motivazioni e si riserva di decidere quando le carte saranno arrivate sul tavolo del direttore regionale.
E così alla maestra L.A. non resta che rivolgersi ancora una volta alla magistratura nella speranza di poter uscire da una vicenda che sembra quasi uscita dalla penna di Kafka.