Home Disabilità Suicidio assistito e “disabilicidio”: a perderci siamo tutti

Suicidio assistito e “disabilicidio”: a perderci siamo tutti

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Dopo la recente triste vicenda del DJ Fabo [il giovane milanese tetraplegico e cieco in seguito a un incidente, morto di “suicidio assistito in Svizzera”], abbiamo sentito l’opinione di Gianluca Rapisarda, Direttore scientifico dell’I.Ri.Fo.R. dell’Unione Italiana dei Ciechi e degliIpovedenti, nonché nostro blogger e collaboratore di alcune tra le più note riviste e portali nazionali sulla disabilità.

Che ne pensa del “caso” di DJ Favo?

La vicenda di DJ Favo, che ha “scelto” (nell’indifferenza generale) il suicidio assistito all’estero perché si sentiva abbandonato da tutti e dal nostro Stato, dimostra ancora una volta che in Italia, come brillantemente scritto qualche settimana fa da Daniele Piccinin sulle pagine di Ofcs Report, sulle “questioni etiche” ci troviamo di fronte  «più che ad un’omertà imposta da chissà chi”, al tentativo di bloccare sul nascere ogni dibattito politico e culturale, come se una sorta di “sindrome di Peter Pan” avesse improvvisamente colpito la stragrande maggioranza degli italiani. Forse su certi temi “scomodi” è giunto finalmente il momento di trovare il coraggio di dibattere e di adottare delle soluzioni, soprattutto per le generazioni future.” 

Vuole dire che lei è favorevole al suicidio assistito di persone con gravi minorazioni od al cosiddetto “disabilicidio”, come qualcuno lo ha definito in questi ultimi giorni?

Attenzione, quanto da me sopra esposto non deve far credere che, da minorato della vista, io sia un sostenitore dell’eutanasia di Stato per le persone con disabilità gravissime, o del “disabilicidio”, come lei lo ha chiamato. Non credo nel “disabilicidio” come meccanismo di risposta di un disabile o della sua famiglia alla soluzione dei problemi connessi ad una grave patologia. Il termine mi fa “schifo”. Cioè non penso che il suicidio assistito o l’uccisione di una persona con minorazione anche gravissima si possa spiegare solo attraverso la sfiducia nella società. Ma la società non può permettersi di prestare il fianco alla creazione di un pensiero simile. Se lo fa, vada sul “banco degli imputati”, oppuref accia finalmente qualcosa per evitarlo.

E che cosa potrebbe fare lo Stato italiano per evitare casi simili a quelli di DJ FAVO?

Innanzitutto, a mio avviso, lo Stato italiano e il suo Parlamento, in quanto principale organo deputato a legiferare in un Paese democratico come il nostro, dovrebbero assumere una volta per tutte una posizione ed una decisione chiara, netta e precisa su temi così “caldi”, resi ancor più cogenti ed urgenti non solo dal buon senso, ma anche da una “normale” esigenza normativa. Già da un anno, all’interno di una delle tante commissioni della Camera dei Deputati, si sta discutendo invano dei Testi di Legge sull’eutanasia, sul testamento biologico e sul “fine vita”, decidendo incredibilmente “all’italiana” di non decidere né a favore né contro, lasciando il tutto nel vago, nell’indeterminatezza.

Dunque, lei considera la classe politica italiana “responsabile” di episodi così “estremi” e drammatici?

Certamente. Il suicidio assistito del DJ Fabo, come qualunque altro caso di “disabilicidio” di un cittadino italiano, è una sconfitta di tutti. Della società civile e della politica che ancora una volta non è riuscita a raccogliere un problema, quello del “fine vita”, che va analizzato nel suo complesso: dal diritto di cura, alla convivenza con la malattia, al morire “naturalmente” bene, alla libertà di scelta del malato ed anche alle relazioni con i propri familiari. Sono questi, tutti aspetti molto importanti che uno Stato che si definisce “civile” come l’Italia dovrebbe assolutamente affrontare ancor prima di trattare la questione del “fine vita”, ma che, al contrario, trascura spesso inspiegabilmente.”

 

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Lo Stato italiano è quindi “insensibile” ed incurante delle sofferenze degli uomini e delle donne con gravi disabilità, lasciandoli da soli ad affrontare il loro destino e considerandoli cittadini di “serie B?

Sfortunatamente, spesso è così. E proprio quest’inerzia e “paralisi” della nostra politica, presa più dalle “beghe di partito che dai reali problemi e dai diritti dei cittadini più “bisognosi” ed in difficoltà, può indurre persone che si sentono “isolate” ed abbandonate e che soffrono come DJ Favo a credere che non ci sia altro svocco che affidarsi alla morte, perché i propri cari non ce la fanno più ad occuparsi di loro a causa dell’assenza o dei tagli dello Stato in nome dell’”austerity”. Penso ad esempio ai tanti disabili gravi, che pur nel loro dolore e nel dramma della loro condizione hanno al loro fianco famiglie straordinarie che avrebbero bisogno di un progetto politico a sostegno della loro azione. Questi problemi non possono essere rinchiusi dentro una famiglia, ma hanno bisogno di uno Stato/famiglia che se ne faccia carico. Lo Stato italiano dovrebbe investire di più nella ricerca, nel “welfare” e nella prevenzione e riabilitazione delle malattie gravi e rare!”

In conclusione, se ho capito bene, lei crede pertanto che più che del “fine vita”, per le persone con disabilità, sia invece necessario che lo Stato si preoccupi del loro progetto “globale” di vita?

Esattamente. Soltanto in tal modo, si potrà finalmente smettere di considerare il “fine vita” come la “panacea” di tutti i mali delle persone con disabilità gravissime e dei loro cari. La disabilità, anche quella grave, non va assolutamente soppressa ed eliminata né con un’iniezione “letale”, né staccando la spina. Essa è invece una delle possibili “dimensioni esistenziali” di un percorso di vita che va tutelato in tutte le sue condizioni da uno Stato che si proclama “civile”, senza se e senza ma. Le persone con disabilità sono prima di tutto Individui e Cittadini dello Stato italiano. Cittadini che, a causa della loro fragilità, lo Stato dovrebbe sostenere e tutelare nel diritto di vivere come tutti gli altri, a prescindere dalla propria condizione di grave disabilità.

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