La delega conferita dal Governo al ministro Mario Baccini di chiudere rapidamente i contratti pubblici è durata meno di una settimana.
La partita del pubblico impiego che sembrava doversi concludere nel giro di pochi giorni se non addirittura di ore, è più che mai aperta soprattutto dopo gli esiti della riunione del Consiglio dei Ministri di venerdì 13, quando il Governo ha deciso di affidare al presidente Berlusconi il compito di incontrare i sindacati.
Fino a poche ore prima della riunione del Governo pareva che la soluzione fosse vicina: perfino Guglielmo Epifani, leader della Cgil, si era lasciato andare a commenti positivi, mentre Savino Pezzotta della Cisl parlava di un probabile accordo a 97,75 euro.
Ma a far saltare ogni ipotesi di mediazione ci hanno pensato i dati Istat sullo stato dell’economia del Paese.
Confindustria li ha commentati parlando di recessione, mentre lo stesso Berlusconi ha dovuto abbandonare il suo tradizionale ottimismo ed è stato costretto ad ammettere che recessione è una parola grossa, ma certamente la stagnazione c’è e non ci si può nascondere che la situazione è davvero difficile.
E’ in questo clima che si arriva alla decisione di affidare a Berlusconi in persona il compito delicato di incontrare i leader sindacali nella giornata del 19 maggio.
Lo scontro è in realtà su poche frazioni di punto: il Governo è disponibile a trattare sulla base di aumenti che non superino il 4,5%, i sindacati hanno abbandonato da tempo la richiesta dell’8% e si sono ormai attestati sul 5%: la differenza insomma è inferiore al punto percentuale, ma i "falchi" del Governo (la Lega e una parte di Forza Italia) fanno osservare che ogni euro di aumento in più costa circa 63milioni di euro e che quindi ci vuole poco per far saltare gli equilibri già molto precari dei conti pubblici.
Berlusconi, per parte sua, sembra intenzionato a far leva sul senso di responsabilità delle parti sociali: aumenti eccessivi agli statali, sostiene il Presidente del Consiglio, ci farebbero passare davvero dalla stagnazione alla recessione e farebbero inevitabilmente aumentare l’inflazione.
Ma i sindacati non sembrano molto sensibili all’appello del Capo del Governo e hanno già fatto sapere che ormai non c’è più possibilità di mediare: o si chiude sui 100 euro o, a partire da giovedì, tutto il pubblico impiego sarà in rivolta e le azioni di lotta si susseguiranno fino a quando le richieste sindacali non saranno accolte.
E nella scuola già si parla di blocco degli scrutini e degli esami anche se in casa confederale c’è un po’ di timore a dichiararlo esplicitamente: il rischio è che la componente movimentista e radicale possa prendere il sopravvento con esiti difficili da immaginare.
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