Come in politica, anche la ricerca e la docenza universitaria si confermano avare in fatto di “quote rosa”. In Italia negli ultimi 10 anni è infatti decisamente aumentato il numero delle ricercatrici e delle docenti universitarie, ma malgrado ciò la strada verso un maggiore equilibrio rispetto ai colleghi maschi è ancora molto lunga: nel nostro Paese solo 2 rettori su 83 sono donne, le docenti ordinarie sono 2.800 su 18.000 (il 15,9%), le ricercatrici negli enti pubblici il 38,4% e nelle imprese il 18,9%. I dati giungono da un’indagine condotta tra i Paesi dell’Ocse dall’Oecd Group. “E questo nonostante le donne costituiscano ormai la maggioranza delle laureate in alcune discipline scientifiche”, dichiara Sveva Avveduto, ricercatrice dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche, in procinto di partire per Parigi dove, dal 16 al 17 novembre, si terrà un convegno dei paesi dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) Women in scientific careers: unleashing the potential, dedicato alle differenze di genere nel mondo scientifico.
A livello internazionale c’è da dire che l’Italia, rispetto alle altre nazioni, fa rilevare una buona presenza femminile negli studi scientifici: nel 2004, su 18.886 laureati in scienze matematiche, fisiche e naturali, 9.831 erano donne; dei laureati in farmacia, per un totale di 5.219 studenti, 3.683 appartenevano al “gentil sesso” che detiene il primato anche tra i laureati in medicina con 19.920 rappresentanti su un totale di 29.439 studenti. Gli studi ingegneristici invece rimangono tuttora saldamente maschili: 27.918 ragazzi contro 6.625 ragazze.
L’ambiente che si conferma più ostico per le donne è quello delle imprese: “le ricercatrici – ha spiegato Avveduto – costituiscono il 44,3% e le docenti con il profilo di ‘associato’ il 31,4%; negli enti pubblici di ricerca sono pari al 38,4%; mentre nelle imprese costituiscono il 18,9% del totale”. Il mondo dell’industria si rivela dunque molto più “maschilista” di quello degli enti pubblici.
Se poi si sposta lo sguardo al di là dei confini italiani, si nota complessivamente che nei Paesi Ocse il 30% dei laureati in discipline scientifiche e dell’ingegneria è rappresentato da donne, che si attestano con il 60% nel settore delle scienze della vita e con circa il 30% nell’area informatica. E’ aumentato inoltre il numero delle ricercatrici: la percentuale oscilla tra il 25% ed il 35% del totale del personale di ricerca nella maggior parte dei Paesi, con la sola eccezione del Giappone e della Corea i cui valori raggiungono appena l’11%”. La distribuzione nei settori d’impiego varia considerevolmente: mentre negli Usa due terzi delle ricercatrici lavorano nell’ambito produttivo, solo il 17,5% delle europee e il 6% delle giapponesi sono occupate nell’area della ricerca industriale. Biologia, agraria, scienze della salute e farmaceutica sono i settori più gettonati, mentre ingegneria, fisica e informatica sono discipline ancora prevalentemente maschili.
“Il quadro che emerge – conclude Rossella Palomba dell’Irpps-Cnr, designata dal Miur a rappresentare l’Italia nel convegno francese – è che le donne dimostrano di essere in gamba anche nelle discipline più ‘mascolinizzate’ e avrebbero tutte le carte in regola per fare carriera. Infatti hanno un curriculum universitario migliore, si laureano con voti più alti e in meno tempo dei colleghi uomini. Ad esempio, tra gli ingegneri il 13% degli studenti si è laureato con 110 e lode contro il 17% delle ragazze; tra le discipline scientifiche il 21% dei ragazzi si è laureato con il massimo dei voti contro il 25% delle colleghe. Eppure a fermarle nella ascesa c‘è un soffitto di cristallo responsabile del divario tra i sessi che aumenta man mano che si sale nella scala gerarchica dei ruoli lavorativi”.