Qualche mese fa il Miur aveva reso noto che, a seguito di un censimento, nella nostra scuola si contano 186.803 alunni con Dsa.
Proprio la settimana appena conclusa è stata dedicata proprio a questo fenomeno, che sta aumentando in modo esponenziale, lanciando un campanello d’allarme.
A tal proposito, come si legge su Il Fatto Quotidiano, l’ufficio scolastico regionale dell’Emilia Romagna attraverso un’indagine ad hoc sul suo territorio ha ottenuto risultati perfettamente coerenti con l’andamento nazionale: nell’arco di quattro anni nella regione l’incremento del numero di segnalazioni è stato del 139%, si è passati da 10.526 casi nell’anno scolastico 2012/2013 a 25.135 dello scorso anno. A Rimini l’aumento nell’arco di tempo sopra descritto è stato persino pari al 623% alle superiori ma anche a Ferrara e a Forlì ha superato il 300% di incremento.
Le Associazioni, su tutte l’Associazione italiana dislessia, hanno parlato proprio dei dati nazionali che, su un totale di 183.803 ragazzi Dsa, si possono distinguere 108.844 alunni dislessici; 38.028 quelli disgrafici; 46.979 i ragazzi segnalati per disortografia e 41.819 quelli per discalculia, per un totale in percentuale di 2,1% sul totale degli alunni. E l’associazione preme per l’aggiornamento dei dati, che potrebbe portare a 350mila alunni.
“Il dato ufficiale resta quello diramato dal Miur che fa riferimento al numero di certificazioni arrivate dagli uffici scolastici regionali. Su questi numeri – spiega il presidente dell’Aid Sergio Messina su Il Fatto Quotidiano – vanno fatte alcune precisazioni. La prima: la maggior parte degli alunni con “Dsa” sono ragazzi della scuola secondaria di primo grado, seguiti da quelli delle scuole superiori e solo in ultima quelli della primaria. La seconda osservazione: l’Emilia Romagna e la Val d’Aosta hanno percentuali che arrivano al 3-5% perché esiste un sistema di presa in carico migliore. Nel Centro Sud i dati sono ancora bassi, arrivano al massimo all’1%. Questa discrepanza va considerata”.
Il presidente Aid ricorda che il problema in Italia è iniziato a essere preso sul serio a partire dal 2010, quando è entrata in vigore la legge 170: “Le prime rilevazioni del Miur – racconta Messina – nel 2011/2012 avevano percentuali dello 0,9 con punte dello 0,03. Se si fa un confronto rispetto a quei numeri è chiaro che in alcune regioni il dato si è persino triplicato. Il rischio è che si possa perdere il controllo: esiste un protocollo diagnostico che va rispettato”.
“Il rischio è che si sia abbassata la guardia e che i disturbi vengano riconosciuti troppo tardi”, sintetizza Messina.
A preoccupare anche il numero degli studenti con “dsa” ripetenti sul totale delle segnalazioni: 8,9%.
Ma lo spettro delle false diagnosi è più che concreto: “Il tema delle false diagnosi non è un pericolo, è un dato oggettivo, afferma Daniele Novara, pedagogista. E’ inimmaginabile fare una valutazione neuropsichiatrica dopo due incontri. Serve un sistema di verifica accurato. Siamo nella logica del mercato. Il settore ‘dsa’ è sottoposto ancor più che la disabilità alla ‘mercificazione’: sono tanti i genitori che cercano di ricorrere al riconoscimento del disturbo della dislessia per ‘salvare’ il figlio da una bocciatura. E’ un rischio perché si mettono dei ragazzi su un binario morto. Spesso le difficoltà legate alla letto-scrittura vengono presentate come dislessia. Qualche volta la chiamano ‘lieve’ ma questo è un ossimoro”.
Anche la scuola avrebbe le sue colpe, come sostiene Gianluca Lo Presti, lo psicologo esperto in Dsa che ha scritto “Nostro figlio è dislessico” edito da Erickson spiega: “Spesso sono proprio gli insegnanti che non riconoscono un dislessico o un disgrafico. Non facciamo di tutta l’erba un fascio ma il problema esiste e ci sono quelli che disattendono il piano didattico personalizzato. I docenti vanno indirizzati con delle linee guida. La formazione va fatta con esperti professionisti che fanno un percorso con i docenti”.