Se le promesse elettorali non sono fumo negli occhi, la legge Fornero stavolta sembra avere i giorni contati. L’innalzamento della soglia per lasciare il lavoro, infatti, è stato messo all’indice sia dal M5S (con il candidato premier Luigi Di Maio che ha promesso di mandare in pensione a 65 anni oppure di tornare a “quota 41” perché “dopo 41 anni di lavoro devi andare in pensione”, grazie al recupero di “50 miliardi di euro di sprechi del bilancio dello Stato”), sia dalla Lega Nord (con il candidato premier Matteo Salvini che ha detto di voler mandare tutti in pensione “con 41 anni di contributi versati”).
Anche il Pd si unisce al “coro”
Ora, a chiedere di tornare a dei parametri più morbidi – 41 anni di contributi versati- è anche un’ala interna al Partito Democratico, capitanata Cesare Damiano, presidente uscente della Commissione Lavoro alla Camera.
“Ha ragione Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, quando afferma che occorre correggere la legge Fornero mettendo in discussione ‘la soglia di uscita dal mercato del lavoro'”, ha detto Damiano.
“Nel corso della campagna elettorale – ha continuato – sono state fatte molte promesse di ‘cancellazione’ della legge previdenziale del Governo Monti. Dalle parole adesso si passi ai fatti, come è avvenuto nella passata legislatura (con le otto salvaguardie, Opzione Donna e l’APE sociale, per citare alcuni esempi), e si completi l’opera iniziata cinque anni fa”.
Allargare l’Ape Social
Damiano ha le idee chiare su cosa attuare con l’avvio del nuovo Governo: “Le prime cose da fare nella prossima legislatura, a nostro avviso, sono: rendere strutturale l’anticipo pensionistico a 63 anni (che scade alla fine del 2018) e andare oltre le 15 categorie dei lavori pesanti che beneficiano della normativa; risolvere definitivamente il problema degli “esodati” con una nona salvaguardia; proseguire la sperimentazione di Opzione Donna; rendere possibile l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi e indipendentemente dall’età, cancellando gli attuali paletti previsti dall’APE”.
Per chi lavora a scuola si tratterebbe di un vantaggio di circa due anni
Ora, un eventuale ritorno ai 41 anni di contributi, ovvero ad una sorta di ritorno alla riforma voluta dall’ex ministro Giuliano Amato, si rivelerebbe particolarmente importante nella scuola.
Tutti i docenti che hanno iniziato a fare supplenze attorno ai 25 anni, chiedendo il riscatto dei 4-5 anni relativi alla laurea, godrebbero infatti dei vantaggi temporali non indifferenti rispetto alle attuali soglie (conquistando circa due anni).
Ricordiamo che gli attuali parametri sono quelli di circa 43 anni di contributi per la pensione di anzianità e 67 anni (dal prossimo 1° gennaio) per quella di vecchiaia.
“Sarebbe un passo avanti importante – conclude il democratico -: se nell’ultima legislatura abbiamo restituito più di 20 miliardi di euro al sistema pensionistico per un suo miglioramento, uno sforzo almeno analogo lo dovrebbe compiere il nuovo Governo”.
“Soprattutto chi, nella campagna elettorale, si è speso sulla necessità di una correzione radicale del sistema pensionistico”, ha concluso Damiano riferendosi, pur senza nominarli, proprio a Di Maio e Salvini. I quali, in caso di affido di esecutivo da parte del Capo dello Stato, dovrebbero comunque sempre riuscire a tradurre le intenzioni espresse nel corso della compagna elettorale con i limiti di bilancio delle casse pubbliche.