Fino al primo pomeriggio di domenica 27 maggio è continuata a circolare la voce che Mario Pittoni sarebbe potuto diventare Ministro dell’Istruzione.
Poi sappiamo come le cose siano andate.
In queste ore abbiamo però ugualmente provato a chiedere a Pittoni, udinese, 67 anni, senatore della Lega, cosa avrebbe fatto se davvero gli fosse stato assegnato l’incarico.
Il Miur è un ministero difficile.
Le sue prime “mosse” sono sempre decisive e determinanti.
Quale sarebbe stato il primo provvedimento importante?
Quello sull’emergenza dei docenti precari che il ministro uscente Valeria Fedeli non ha voluto presentare, nonostante i tempo strettissimi per poterne garantire l’efficacia. E dire che avevamo depositato una mozione proprio per velocizzare il percorso di un eventuale decreto del Governo, affinché non andasse fuori tempo massimo. Col nuovo anno scolastico ormai alle porte, la situazione si complicherà ulteriormente.
Quale linea avrebbe mantenuto sulla cosiddetta Buona scuola che proprio lei aveva chiamato “scuola alla buona”?
Abrogazione o correzione?
Avrei lavorato per smontarla un pezzo alla volta. Con ordine. Per cominciare abbiamo già depositato il disegno di legge sostitutivo del comma 131 della “Buona scuola”, in base al quale dopo 36 mesi da insegnante precario, se non vieni assunto a tempo indeterminato, sei lasciato a casa disperdendo il bagaglio di esperienza maturato. La nuova versione reinterpreta la normativa europea non più a danno, bensì a favore dei lavoratori. Poi sarebbe stata la volta dello stop definitivo alla chiamata diretta. E così via…
Ormai siamo ai blocchi di partenza con il nuovo anno scolastico. Pensa che sarebbe riuscito a garantire che a settembre funzioni tutto per il meglio?
Non credo proprio. Il sistema è semi bloccato per le criticità sedimentatesi negli anni. Ci vorrà tempo per una ripartenza reale. Avremmo potuto adottare provvedimenti per affrontare l’emergenza, ma parallelamente avremmo messo a punto progetti per intervenire sui problemi alla radice, a partire dalla piaga del precariato che sconta percentuali record rispetto al resto della pubblica amministrazione.