Il bullo? “A suo modo è un narciso che ha bisogno di un suo pubblico. Prendiamo ciò che è successo a Modena qualche giorno fa: davanti una studentessa travolta e uccisa da un autobus in strada, i suoi amici invece d’intervenire l’hanno ripresa coi telefonini. L’immagine è poi finita su internet. Questo fatto è ricollegabile a un atto di bullismo”.
A dirlo è Daniela Pavan, insegnante e Psicologa scolastica, relatrice in un gruppo di lavoro che si è tenuto al Palacongressi di Rimini dov’è in corso il sesto convegno internazionale sulla Qualità dell’Integrazione scolastica organizzato dal Centro studi Erickson, incontro a cui partecipano 3500 persone tra insegnanti e dirigenti scolastici (presenti quest’anno le delegazioni di Salvador, Bosnia e Romania). I relatori esperti del settore sono invece 250.
Sarà presente al meeting Edward De Bono uno degli studiosi di primo piano nel campo del pensiero creativo (ha scritto oltre sessanta libri, tradotti in 37 lingue).
Secondo la professoressa Pavan, di fronte a un bullo-narciso bisognoso di un suo pubblico, ogni sanzione rischia di essere vana. Occorre invece, sottolinea Daniela Pavan, seguire un percorso preciso di “apprendimento cooperativo e costruire intorno al ‘bullo’ un ambiente inclusivo che riesca a creare un senso di appartenenza. Questo è quello che abbiamo fatto sul campo – precisa la Pavan – in una scuola media di Paese, un comune nella provincia di Treviso”.
Secondo la Pavan è necessario innanzitutto riuscire a delineare l’identikit del bullismo, “per separarlo concettualmente da fatti di maleducazione e prevaricazione”. Per parlare di bullismo si devono concretizzare in modo concomitante tre indizi: ripetitività di una sequenza ‘malvagia’, palese disparità di potere tra ‘vittima’ e ‘carnefice’ e volontà di compiere il male. Ultimo ingrediente, fondamentale, è il gruppo. “Il bullismo – evidenzia Daniela Pavan – è sempre è un fenomeno di gruppo. E’ lì che nasce, cresce e si consuma”. Non solo. La comunità ‘bullista’, stando all’esperienza didattica della Pavan, può avere la stessa dimensione del problema mafioso.
“Il bullo vive di omertà: mai confessare ad estranei ciò che si fa o si fatto”, rimarca la psicologa scolastica, che è anche membro dell’osservatorio regionale del Veneto sul bullismo.
L’azione costante e continua è il metodo di lavoro basilare per l’apprendimento cooperativo contro il bullismo nelle scuole, dove l’obiettivo preferito dell’episodio di prevaricazione è sempre un soggetto passivo o comunque disagiato. Nel comune di Paese, in provincia di Treviso (oggetto dell’esperimento sul campo coordinato dalla professoressa Pavan) si è creato un percorso durato cinque anni in cui tutti i soggetti della scuola sono stati tutti coinvolti nell’operazione.
Inclusione e appartenenza di tutti gli ‘attori’, questi i fari-guida dell’intervento. In questo modo si è prodotto un lavoro di rete in cui ragazzi, genitori e insegnanti hanno dato il loro contributo. “La partecipazione, la condivisione dei valori, rendere la scuola un ambiente piacevole, sono alla base della terapia – spiega la Pavan -. I risultati sono stati ottimali: in quella scuola, dove s’era verificato in passato un grave episodio di bullismo. Fatti del genere non si sono più verificati”.