Cosa rimane di Fabrizio De André oggi, a venticinque anni dalla sua morte? Al di là del mito che a partire dagli anni ’70 – quando in pochi fortunati ancora lo conoscevano – è cresciuto anno dopo anno fino a diventare storia, modello e punto di riferimento, del cantautore genovese restano e saranno tramandati di generazione in generazione i suoi testi linguisticamente splendidi e emozionalmente disturbanti con le loro storie di emarginazione, di degrado, di collera contro i soprusi dei potenti, di accoglienza, pietà, amore e morte.
I suoi testi che non risparmiano aspre critiche al perbenismo borghese e a tutti i benpensanti ipocriti che praticano “l’etica” dei vizi privati e delle pubbliche virtù. In cui troviamo, forte, un richiamo alla solidarietà, alla fraternità, alla comprensione per tutti gli sfortunati che vivono ai margini della società. Insomma, tutte le periferie esistenziali trovano in Fabrizio De André uno sguardo benevolo, mai accusatorio.
Resteranno anche i suoi testi che da tempo ormai sono stati inseriti in molte antologie scolastiche, ad uso della secondaria sia di primo che di secondo grado. Cantautore o poeta, Fabrizio De André? Rimane famosa la sua battuta, quando a un giornalista che gli chiedeva se si sentisse più cantautore o poeta, rispose così: “Benedetto Croce diceva che fino all’età dei diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini. E quindi io precauzionalmente preferirei considerarmi un cantautore.”
Canzoni come testi da studiare, dicevamo: pensiamo, ad esempio, a “La canzone di Piero”, un vero manifesto del pacifismo. L’invito a riflettere, a pensare, a disobbedire e disertare se è il caso, per denunciare il fatto che in guerra muoiono soltanto i poveri diavoli inviati al macello da chi le guerre le ordina ma non muore mai.
Nelle antologie scolastiche troviamo anche “Città vecchia”, in cui De André rivisita un emozionante testo poetico di Umberto Saba dedicato alle più misere creature che hanno anch’esse il diritto di partecipare al grande enigma della vita.
E chissà quanti docenti hanno già pensato di utilizzare il bellissimo album “Storia di un impiegato” a sostegno delle loro lezioni sul Sessantotto e il Maggio francese.
Vogliamo citare anche i professori di inglese che hanno fatto leggere e ascoltare le canzoni dell’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, liberamente tratto dall’Antologia di Spoon River del poeta americano Edgar Lee Masters?
E perché no, ci saranno dei docenti di religione aperti che “osano” proporre ai loro alunni alcuni brani tratti da “La buona novella”, con i suoi personaggi dolenti, in cerca di verità, di giustizia, di amore.
Insomma, ancora oggi pensiamo che Fabrizio De André possa trasmettere messaggi positivi ai nostri giovani, o perlomeno a tutti i giovani – e sono tantissimi – alla ricerca di un percorso che li conduca verso una vita autentica priva di muri e pregiudizi.
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