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A Bologna si parla di assistenti sessuali per disabili

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Mentre ancora risuonano i tristi rintocchi di quelle ragazzine che alla scuola preferivano il sesso a pagamento, a Bologna stanno per essere avviati corsi speciali per preparare professionalmente “Assistenti sessuali per disabili”, organizzati dal “Comitato promotore per la realizzazione ed il sostegno di iniziative popolari per l’assistenza sessuale”, riconosciuto formalmente dalla Provincia con l’iscrizione al registro delle organizzazioni di volontariato del territorio. L’obiettivo è quello di tutelare “i diritti di soggetti diversamente abili”.
Il “Comitato”, dice uno dei responsabili attraverso l’agenzia Dire, “ha dovuto affrontare tutte le difficoltà burocratiche di un paese come l’Italia che non riconosce la figura dell’assistente sessuale e nel quale è molto semplice venire scambiati per persone che sfruttano il corpo delle donne”, mentre bisogna trovare “un cambiamento normativo che consenta di riconoscere la professione di assistente sessuale per disabili resa famosa dal recente film “The sessions”.
La figura dell’assistente sessuale è fra l’altro riconosciuta in Olanda, Germania, Austria, Svizzera e Danimarca e per consentirlo vengono istituiti corsi di formazione, diplomi, aggiornamento continuativo, carte di comportamento etico, supervisione terapeutica e prezzi concordati. Insomma è qualcosa che esiste e che viene accettato culturalmente e socialmente, ma all’estero.
E in Italia? I promotori dei corsi non hanno difficoltà a dire che qualche esperienza di assistenza sessuale è partita di nascosto, senza riconoscimento giuridico e quasi vergognandosi, come ha sottolineato una delle promotrici del progetto Lovegiver che in Tv, a “Le Iene”, ha raccontato di aver aiutato un suo amico disabile a provare piacere, senza vergogna. Tuttavia, considerata la nostra attuale legislazione, intoppi giudiziari si annidano, tanto che i responsabili sono pronti a ricevere denunce: “Ora pensiamo ai corsi e poi inizieremo a mandare le persone in giro a fare assistenza. Le denunce eventuali non ci spaventano. Il problema è che la figura del terapista sessuale viene accostata con facilità a un fenomeno di prostituzione, senza capire che invece non c’entra nulla”. Tuttavia in questa materia, il confine tra disabilità e terapia sessuale non è così robusta, e non solo perché il bisogno di piacere riguarda anche il mondo femminile, ma anche perché l’incapacità a instaurare un rapporto sessuale soddisfacente può riguardare persone senza la disabilità apparente e certificata. Quanti sono infatti coloro, maschi e donne, che, per un motivo o l’altro, non possono o non riescono o non sono in grado di avere accanto compagni/e con cui condividere il piacere di trovare piacere? Non è questa certamente la disabilità di cui si discute, ma in ogni caso è una condizione esistenziale che merita rispetto e sulla quale la discussione non può limitarsi alla condanna, considerato pure che nel medio evo, per esempio, la prostituzione era perfino sollecitata proprio per evitare conflitti sociali, rapimenti di donne, stupri e perfino assassini da parte di orde di giovani sbandati, mentre San Tommaso d’Aquino la paragonava alle fogne nei palazzi: brutte ma indispensabili.
Il punto allora sarebbe quello, non solo di appoggiare con determinazione l’iniziativa onorevole e civile del Comitato bolognese, ma anche di legiferare in modo che si possa ripescare, con la rete del terzo millennio e alla luce dei nuovi traguardi culturali, ciò che nel medioevo si era opportunamente intuito.