Siamo a fine anno e nelle scuole si tirano le somme e, soprattutto, si chiudono le operazioni di valutazione degli alunni.
Operazioni che, inevitabilmente, fanno tornare d’attualità un problema vecchio ma non ancora del tutto risolto: ma il voto è indispensabile? serve davvero ?
Certamente il voto è un obbligo, perché è previsto dalla legge e quindi è ineliminabile.
Sulla sua utilità c’è però molto da discutere: c’è chi pensa che il voto serva a “far studiare” gli alunni, ma forse la questione è più complessa perché gli studiosi di psicologia dell’apprendimento sottolineano da tempo che la miglior motivazione ad imparare è quella legata all’interesse per l’oggetto dell’apprendimento; si è spinti ad imparare perché si è curiosi, si vuole saperne di più, si desidera diventare più “competenti” in qualcosa.
Anche ai bambini piccoli piace “diventare bravi” in qualcosa (andare in bicicletta, giocare con i mattoncini del Lego, scoprire cosa c’è scritto nelle insegne dei negozi e così via).
Sul fatto che alla scuola primaria si possa fare tranquillamente a meno del voto numerico c’è ormai un consenso abbastanza ampio anche se poi non c’è sempre accordo su cosa si debba fare in alternativa.
La riforma introdotta nel 2020 prevede una valutazione di tipo descrittivo con funzione formativa che serva cioè a sostenere l’apprendimento degli alunni; c’è anzi chi sostiene che la valutazione dovrebbe avere anche una funzione regolativa, cioè dovrebbe servire al docente per avere un “feedback” del proprio operato. Principi, però, che possono valere benissimo anche nella scuola secondaria.
Così come può valere per tutti gli alunni un altro dato che pedagogisti e psicologi hanno evidenziato da tempo: l’autovalutazione è una potentissima arma per motivare gli studenti e per aiutarli a migliorare i propri risultati.
Il voto è certamente necessario (o perlomeno ineliminabile) al termine dell’anno scolastico o di un periodo (quadrimestre o trimestre) ma non risolve affatto il tema della valutazione che, è bene ricordarlo, deve essere finalizzata a migliorare gli apprendimenti e non a “sanzionare” gli insuccessi.
Di questo e altro parliamo anche nell’intervista che abbiamo fatto al professore Cristiano Corsini, docente di pedagogia sperimentale all’Università di Roma Tre.