Stavolta è ufficiale: tutti i lavoratori dipendenti che percepiscono tra i 20 mila e i 24 mila e 500 euro lordi l’anno già dal mese di maggio potranno percepire 80 euro di aumento. Per chi guadagna meno, l’incremento stipendiale sarà a decrescere, fino a 20 euro mensili da applicare ai 5 mila euro annui. Stesso discorso per chi guadagna oltre i 24 mila e 500 euro, ma dai 28 mila in su non scatta alcun aumento.
La decisione definitiva è arrivata nel tardo pomeriggio del 18 aprile, attraverso un decreto legge sulla riduzione Irpef approvato dal Consiglio dei Ministri. Al termine del quale il premier Renzi si è presentato in conferenza stampa per illustrare con 10 tweet (“per le slide, questa volta – ammette – non c’è stato tempo) il decreto legge ‘Italia coraggiosa’. Il testo del decreto “è in fase di coordinamento con i singoli ministri e sarà in Gazzetta credo all’inizio della prossima settimana”.
Nel provvedimento, ha spiegato il presidente del Consiglio, vi sono i “mitici” 80 euro in busta paga da maggio, che andranno a “10 milioni di lavoratori”. Che poi si toglie qualche sassolino dalle scarpe: “parola mantenuta, alla faccia dei gufi e dei rosiconi”, dice, spiegando di aver preferito rinviare il bonus per gli incapienti e le novità per gli autonomi pur di approvare la misura così come l’aveva annunciata nelle scorse settimane. I ”denari”, sottolinea poi, sono “strutturali” e se per il 2015 non sono scritti nero su bianco nel decreto saranno indicati, assicura, nella Legge di Stabilità.
Il decreto introduce anche l’atteso tetto di 240 mila euro agli stipendi dei manager e degli “alti magistrati” (la norma ‘Olivetti’), tagli alla Difesa per 400 milioni, di cui 135 milioni di euro arriveranno dagli F35, risorse dall’aumento della tassazione delle plusvalenze di Bankitalia (la voce più corposa quest’anno con 1,8 miliardo) e dagli introiti Iva ma anche dal pacchetto sobrietà e dalla centralizzazione degli acquisti di beni e servizi: si tratta in tutto di risparmi per 6,9 miliardi quest’anno che raddoppiano l’anno prossimo.
E’ una “rivoluzione”, secondo il premier, quella che è cominciata, in grado di ridare “soldi ma soprattutto speranza e fiducia agli italiani”. E per questo che si chiedono sforzi a chi finora la cinghia non l’ha tirata, dagli dirigenti alle toghe.
Chi l’ha tirata, e pure tanto, sono invece i dipendenti della scuola. Che ora beneficeranno dell’aumento. Ma non tutti. Scorrendo una recente tabella della Cisl Scuola, già commentata su questa testata, emerge che a beneficiare degli aumenti saranno poco più della metà dei dipendenti, se si contano pure gli Ata. Molti meno della metà, invece, se si calcolano solo gli insegnanti. Sotto la soglia dei 1.500 euro netti di stipendi si collocano infatti tutti i collaboratori scolastici, ma anche gli assistenti amministrativi e tecnici. Che sono all’incirca 200 mila. La metà, forse qualcosa di più, dei 330 mila maestri d’infanzia e di scuola primaria. E all’incirca un terzo dei docenti della secondaria di primo grado (170 mila) e di secondo grado (235 mila). In totale si tratta, quindi, di mezzo milione di dipendenti. A fronte dei 935 mila totali. Tra i docenti, però, solo 300 mila su 735mila. Disco rosso anche per dirigenti scolastici e Dsga, che percepiscono buste paga superiori ai 1.500 euro.
Finora l’unico sindacato della scuola a commentare il decreto è stato l’Anief. Che pur apprezzando “gli sgravi Irpef approvati dal Consiglio dei Ministri”, considerati “un buon viatico per l’adeguamento degli stipendi dei lavoratori italiani”, sostiene che per i lavoratori “della scuola, rappresentano l’ennesima beffa: il 60% dei docenti ha infatti oltre 50 anni, tanto che secondo l’ultimo ‘Conto annuale’, realizzato dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (pag. 49), la media degli stipendi di docenti e Ata è pari 29.548 euro, quindi al di fuori del bunus previsto dal Governo”.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “già gli 80 euro lordi di aumento massimo non sarebbero bastati a coprire quattro anni di blocco contrattuale e la perdita del potere di acquisto degli ultimi 7 anni. È sempre più evidente che per chi opera nella scuola il Governo deve trovare risorse aggiuntive. Ma siccome non si riescono a trovare nemmeno quelle per coprire gli scatti automatici del 2012 c’è poco da rallegrarsi”.
“La verità – continua il sindacalista Anief-Confedir – è che non servono elemosine, ma soldi veri. Altrimenti chi opera nella scuola, ad iniziare dagli insegnanti, è destinato ad essere sempre più proletarizzato. Se si fossero applicati i parametri europei nella paga dei nostri insegnanti da quando è stato bloccato il contratto e si fossero adeguati gli stipendi al costo dell’inflazione, il Governo avrebbe dovuto mettere nelle finanziarie, per onorare il contratto, almeno 25.000 euro di arretrati per ciascun insegnante. Più un incremento mensile lordo di oltre 600 euro per parametrarli al resto dell’area Ocde”.
Invece, siamo qui a commentare un incremento di 80 euro lordi che andranno solo a 4 prof su 10….