Mentre alla vigilia dell’assegnazione del premio Nobel per la pace 2023 i bookmaker facevano i nomi del presidente ucraino Volodymyr Zelensky in prima battuta e sul dissidente russo Alexey Navalny, oggi l’Accademia di Oslo ha ufficializzato vincitrice del prestigioso riconoscimento Narges Mohammadi per “la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere i diritti umani e la libertà“.
Attivista e giornalista di 51 anni, imprigionata dalle autorità di Teheran dal maggio 2016, è ancora in carcere.
Nelle motivazioni della scelta dei giurati si celebra della donna “una lotta coraggiosa” che per Mohammadi ha avuto “un terribile costo personale”.
La presidente del Comitato norvegese ha sottolineato che la lotta dell’attivista e giornalista iraniana è portata avanti “a fronte di un’enorme sofferenza”, ricordando che “la coraggiosa lotta di Narges Mohammadi ha comportato enormi costi personali. Il regime iraniano l’ha arrestata 13 volte, condannata cinque volte a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate“.
La presidente ha aggiunto che “Mohammadi è ancora in prigione. Se le autorità iraniane prenderanno la giusta decisione la rilasceranno così che potrà essere qui per ritirare il premio a dicembre”.
“Ancora una volta, Mohammadi ha assunto un ruolo guida”, dice il Comitato ricordando in particolare il suo ruolo nella mobilitazione di protesta seguita alla morte nel settembre 2022 di Mahsa Jina Amini.
“Dalla prigione ha espresso supporto per i dimostranti e ha organizzato azioni di solidarietà insieme con altri detenuti”.
“Le autorità penitenziarie hanno risposto imponendole restrizioni ancora più severe, vietandole persino di ricevere telefonate o visitatori; lei però è comunque riuscita a far diffondere un articolo che è stato pubblicato dal New York Times nel primo anniversario dell’uccisione di Mahsa”.
Ma, chiosano i suoi sostenitori: “Più ci rinchiudono, più diventiamo forti”.
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