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A proposito degli insegnanti del Sud

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Avevamo, con una certa fatica a dire il vero, seppellito i ricordi che ci conducevano alle difficoltà incontrate durante il lungo periodo delle emigrazioni, post belliche, della gente del Sud verso il Nord.  

Avevamo cancellato, violentandoci, quelle immagini di treni affollati; di valige chiuse con lo spago; della ricerca affannosa di un alloggio, dove a differenza dei cani, gli emigranti potessero stare.
Avevamo persino allontanato, vergognandoci, quei preconcetti e gli sfottò che serbavamo per coloro che, partiti per lavoro ma tornati per le vacanze, si portavano dietro il ridicolo “Ullallà, neh!?”.
Avevamo persino fatto finta di non vedere come le cose fossero cambiate solo in apparenza e non nella sostanza. Di fatto, un tempo il Sud, con particolare riferimento alla Sicilia, esportava braccia lavoro mentre oggi esporta laureati, che viaggiano con la “samsonite” e magari in aereo.
La categoria più diffusa è quella dei professionisti della cultura. Gli insegnanti, insomma, quelli che dopo i cinque anni di laurea e due di scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario, e qualche corso particolare di specializzazione guardano il Nord come possibile realtà per poter attuare i propri progetti didattici e pedagogici.
Avevamo, e c’eravamo riusciti, cancellato dal nostro lessico termini come “là sopra” e “qui sotto” perché avevamo vinto, nei decenni, la resistenza degli ultimi atti di “razzismo” che ci venivano omaggiati da pochi ottusi prevenuti. Negli anni, la gente del Sud aveva fatto famiglia con quella del Nord e questi stupidi concetti erano completamente scomparsi (magari si erano spostati verso gli extra comunitari).
Non citeremo i grandi nomi di illustri meridionali che hanno fatto la storia culturale dell’Italia, lo hanno già scritto, in questi giorni, eminenti giornalisti su altrettante eminenti testate del Nord.
Non vogliamo dilungarci sulla possibile preparazione culturale dei nostri ministri, che spesso si lasciano andare a dichiarazioni superficiali e senza fondamento per quanto concerne il popolo italiano.
Facendo, però, riferimento alle dichiarazioni della Gelmini che individua, a seguito dell’indagine Ocse-Pisa, in cui  gli studenti meno bravi risulterebbero essere in Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata, le responsabilità nei docenti, per i quali vorrebbe indire addirittura corsi di recupero; aggiungendo alle sue dichiarazioni quelle di Bossi che vede nei professori del Sud i “nemici degli studenti padani martoriati”, tutte le nostre fatiche risultano vane.
Forse il Ministro pensava alle strutture scolastiche del Meridione che spesso sono scadenti (e per questo occorrerebbe investire di più) ma non certo agli insegnanti.
Ora, il nostro rammarico maggiore è quello di dover riascoltare termini come Nord e Sud (e non per spiegare la geografia); quello di riaprire ferite e dibattiti apparentemente sanati; quello di vedere i rappresentanti di una Nazione “lavorare” per dividere e non per superare i problemi; di “tagliare” e non incrementare l’Istruzione, base per lo sviluppo di un intero popolo.
Crediamo sia arrivato il momento che i nostri Ministri agiscano con maggiore saggezza e onestà, dando agli insegnanti il ruolo, la dignità, le risorse che spettano loro. La società civile non può più accettare esternazioni razziste e destabilizzanti, non degne dei rappresentanti del Parlamento.

In merito all’argomento sentiamo la voce dei lettori e la voce dei sindacati e delle rappresentanze di categoria.