A proposito del Concorsone. In parole semplici

Oggi ho avuto un incubo. Ero un insegnante precario, mettiamo da una quindicina d’anni. Cioè, io insegnavo nella scuola, poniamo superiore, da quindici anni. E lasciamo stare che alunni e genitori siano sempre stati contenti di me. Lasciamo stare che mi pagassero sempre meno dei miei colleghi di ruolo, nonostante facessi esattamente le stesse cose, cioè lo stesso lavoro. Questo non conta. E poi basta con ‘ste lagne… torniamo a noi e al mio incubo.
Ecco. Stavo facendo il concorsone. Un programma da studiare immenso, con nozioni che a scuola non si insegneranno mai. Tempi ridottissimi di studio. Uno pensa: la prova scritta sarà clemente. Infatti: otto quesiti complessi, due in lingua straniera, chissà mai perché. Poco tempo, insufficiente. Allora le commissioni saranno certamente clementi. Infatti: percentuali di bocciature del 50% quando va bene, in certi casi anche 90%, addirittura pare, in un caso, del 100%. Ok, ci sarà un motivo.
Ma io sono già abilitato all’insegnamento, cioè, dei luminari, insigni pedagogisti, mi hanno giudicato capace di insegnare, quindi degno di una cattedra (non si chiede la luna). Ore di corsi, tra l’altro costosissimi, esami accurati di materia e di pedagogia hanno stabilito che… niente da fare. E qui inizia il paradosso: dei commissari, scelti con criteri che non si sa quali, mi devono giudicare ancora una volta, nelle condizioni sopra descritte. Griglie di valutazione? Criteri di valutazione? Dai su, non esageriamo… E se poi andasse male? Male comune, cioè di molti colleghi (già abilitai come me, va bene, abbiamo capito). Invece: peccato che tempo tre anni e non potrò più insegnare. L’U.E. l’aveva detto all’Italia: entro tre anni basta coi precari! Appunto, tra tre anni sarò a spasso. Fuori gli esperti, cioè io, e dentro i giovani! Ma niente paura, era solo un brutto sogno.

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