A proposito della “bufala” sulla scuola italiana migliore d’Europa

Ha fatto scalpore la notizia diffusa dai principali media italiani che in base ad una recente ricerca OCSE la scuola italiana sia la migliore d’Europa almeno per quanto riguarda l’inclusione sociale.

Ne sono seguite dichiarazioni entusiaste della ministra Fedeli, dell’ex premier Renzi e della responsabile scuola PD Puglisi, che tendono ad accreditare all’attuale governo questo merito.
E’ perlomeno bizzarro che dichiarazioni del tipo “la scuola italiana svolge pienamente la sua funzione di equità e ascensore sociale” vengano fatte dalle stesse persone che affermavano il contrario fino a qualche giorno fa e hanno sostenuto una riforma detta buona scuola nel cui manifesto di settembre 2014 non compare mai la parola “equità” e si abbonda invece in quelle di efficienza, merito, valutazione, ecc.

Ciò che però è più clamoroso è osservare che nessuno di queste persone dimostri di avere minimamente idea del contenuto della ricerca OCSE che ha prodotto questo tsunami.

Eppure questo grafico chiarisce bene gli esiti della ricerca:

 

Questa confronta i risultati degli studenti quindicenni sottoposti ai test PISA in comprensione del testo, matematica e scienze nel 2000 con quelli ottenuti dalla stessa coorte di individui nel 2012 (test PIAAC) ovvero 12 anni dopo, quando questi dovrebbero essere inseriti in un’attività lavorativa.

La ricerca studia in particolare questi esiti in base alle condizioni socio economiche delle famiglie di riferimento. Lo studio mostra che nella maggioranza dei paesi l’intervento della scuola compensa fino ai 15 anni lo svantaggio derivante dalla provenienza famigliare, ma che successivamente, anche a causa della maggiore eterogeneità di esperienze e possibilità alla fine della scuola dell’obbligo (formazione professionale, università, entrata nel mondo del lavoro) si osserva un allargamento della forbice nelle competenze tra classi sociali e chi perde tendono ad essere studenti non altamente dotati accademicamente che vengono da famiglie svantaggiate.

Per quanto riguarda l’Italia, se è vero che nel 2000 la scuola italiana era più inclusiva di altre si evidenzia che siamo fra i paesi in cui la forbice si amplia di più dopo i 15 anni.

Non c’è molto da rallegrarsi pertanto, anzi bisognerebbe preoccuparsi del 16% di abbandoni scolastici o del taglio alle borse di studio per l’accesso all’università o della dequalificazione dei lavori offerti alle nuove generazioni.

Insomma bisognerebbe studiare un po’ di più invece che fare propaganda. 

I lettori ci scrivono

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