Sono un dirigente scolastico e leggo con estrema amarezza l’articolo intitolato “La rabbia dei presidi” nella rubrica “i lettori ci scrivono”.
Con estrema amarezza, perché l’autore di tale articolo non si è preso la briga di approfondire la questione che tratta, ma, nonostante il suo richiamo al “non arrabbiarsi” in fondo al suo scritto, pare abbia solo intenzione di dare voce alla rabbia, appunto.
In primo luogo, una osservazione semplice: i dirigenti che hanno manifestato il 25 maggio hanno aderito a varie forme di protesta, a seconda del sindacato o del gruppo di riferimento (poiché c’erano in piazza anche tanti dirigenti che non si sentivano rappresentati da alcun sindacato).
Ora, credo che sia a tutti noto il fatto che si può aderire ad uno sciopero solo se questo è indetto, mentre non è vietato ad alcun lavoratore manifestare nelle sue ore libere dal lavoro (mi pare che siamo ancora in uno Stato di diritto, anche per i dirigenti scolastici, ma forse mi sbaglio): quindi, ad esempio, nelle sue giornate di ferie.
In occasione del 25 maggio, un sindacato ha indetto lo sciopero e i suoi iscritti si sono regolarmente dichiarati scioperanti. Altri hanno indetto manifestazioni e assemblee sindacali: non mi risulta che alcun contratto di lavoro (compreso quello dei dirigenti scolastici) preveda l’automatica trasformazione in sciopero di queste legittime forme di aggregazione e protesta.
Mi si obietterà: ma i dirigenti avrebbero dovuto essere al lavoro in quella giornata. E perché? Perché forse qualcuno pensa che i dirigenti abbiano un orario fisso di lavoro? Che debbano timbrare un cartellino? Lo dico sinceramente, a nome della categoria, e me ne prendo la responsabilità: magari così fosse! Almeno si potrebbe documentare il fatto che le nostre giornate lavorative vanno spesso oltre qualunque ragionevole impegno di lavoro di qualunque categoria di lavoratori.
E a differenza dei “normali” lavoratori, non si prevede per noi alcuno straordinario.
Questo, e solo questo, è il senso che si può dare all’espressione dei “superpoteri” di cui ancora qualcuno va blaterando: i nostri poteri sovrumani sono semplicemente il disperato tentativo di far fronte a tutte le incombenze e le responsabilità che ci vengono attribuite, sacrificando riposo e vita privata.
Per il resto, mi piacerebbe che qualcuno finalmente declinasse in concreto l’esplicazione di tali presunti “superpoteri”: forse che davvero c’è chi crede ancora alla favola secondo cui avremmo determinato in qualche modo la distribuzione dei docenti con la cosiddetta chiamata diretta? O che altro?
Vorrei chiudere queste brevi considerazioni con un invito, che ho già fatto più volte, ma a cui non ho avuto risposta (chissà perché): se qualche docente convinto dei superpoteri e della fellonia dei presidi volesse affiancarmi in una settimana di lavoro, la porta del mio ufficio è sempre aperta e io sono disponibile. Può darsi che di fronte all’evidenza dei fatti, ci sia chi si ricreda. Io sono un’ottimista.
A questo punto qualcuno dirà: “hai voluto la bicicletta, pedala”. Mi permetto di fare sommessamente osservare che anche i docenti hanno scelto di fare il loro lavoro, così come ciascuno sceglie il proprio percorso. Io non mi permetterei mai di dire ad un docente che viene nel mio ufficio a lamentarsi dei genitori o degli alunni una frase del genere. Perché è semplicemente una frase stupida.
P.S. Io non ho potuto partecipare alla giornata del 25 maggio a Roma, per ragioni personali. Ma per solidarietà con i colleghi, ho preso un giorno di permesso per motivi di famiglia. E sono stata a casa, ma lavorare per la scuola, come dimostrano le segnature dei file che ho prodotto.
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