Scrivo questa lettera dopo aver ascoltato l’intervista a Elisabetta Nigris ma è rivolta un po’ a tutti i pedagogisti che ormai da anni influenzano le scelte del Ministero dell’Istruzione con risvolti a mio parere decisamente peggiorativi.
In merito all’eliminazione dei voti alla scuola primaria, su cui la signora Nigris sostiene vada tutto bene, vorrei capire di quale feedback (uso una parola che piace molto ai pedagogisti) lei e i colleghi si siano avvalsi.
Parlando da mamma e da insegnante, posso dire che tutti i genitori con cui ho parlato non sono affatto contenti di non vedere più i voti, semplici per capire se il proprio figlio avesse raggiunto o meno gli obiettivi di quell’anno scolastico, e pochissimi hanno letto le svariate pagine che componevano la pagella (per quel che riguarda il mio personale sondaggio svolto su sette plessi, tutti i genitori hanno affermato che fosse troppo lunga e molti non comprendono nemmeno il lessico utilizzato. Ovviamente spiace per tutto il tempo che le maestre sono state costrette a impiegare per compilare questi papiri, tempo tolto al loro vero lavoro che è quello di preparare lezioni coinvolgenti per i bambini).
A coloro che sostengono che “un bambino non è un numero” rispondo che ovviamente nessun insegnante degno di questo nome si è mai sognato di confondere il voto di un compito con il giudizio sulla persona, e che sostituire i numeri, semplici e chiari, con decine di frasi non corrisponde con il separare la valutazione del bambino in quanto studente con quella in quanto persona, se un maestro non era in grado di farlo prima continuerà a non essere in grado di farlo adesso.
Vorrei che qualcuno parlasse del feedback avuto dai bambini. Molti bambini non sono per niente contenti di non avere i 10 quando fanno tutto giusto o anche i 6, 7, 8 e 9, che permettevano di capire quanto fossero distanti dal risultato da raggiungere. Dicono che senza i voti non c’è soddisfazione. Allora, cari pedagogisti, di questo sentimento dei bambini non avete tenuto conto, vero? Il piacere della conquista (“ho imparato bene questa cosa e il 10 che campeggia in alto nel mio compito me lo dimostra, come una medaglia”) è uno dei sentimenti che spinge a fare sempre meglio.
Invece da anni voi spingete i ragazzi a livellarsi verso il basso, condannando le bocciature (che avete fatto vivere come punitive, mentre sono una seconda occasione per capire ciò che prima si è perso), condannando i voti, condannando i docenti che vogliono premiare le eccellenze, addirittura avevo sentito uno psicologo sostenere che la biro rossa, che si è sempre usata per indicare gli errori, crea un trauma. Signori, i traumi sono altri, perdere un genitore, vivere in guerra, la miseria, ecc. Un segno rosso sul foglio non è un trauma, è solo quel che è, un colore più evidente per mettere in mostra l’errore che non si dovrebbe ripetere.
Questo vostro tentativo di deresponsabilizzare e togliere ogni disappunto, contrarietà che i bambini possono incontrare nel mondo della scuola sta già dando i suoi frutti: i ragazzi non accettano i “no” delle loro ragazze, arrivando ad aggredirle, non accettano i “no” dei genitori, arrivando ad ucciderli, non accettano di perdere uno smartphone, arrivando a gettarsi sotto un treno, ecc.
Insegno da 13 anni e rispetto a quando ho iniziato ormai faccio metà del programma (parola che vi raccapriccia, lo so, vogliamo sostituirla con “contenuti”? “conoscenze”? No neanche questa vi piace…), un po’ perchè ciò che i ragazzi conoscono in prima media è sempre meno, quindi devo recuperare competenze, tipo usare le forbici o distinguere i vari solidi, che una volta i bambini delle elementari avevano, un po’ perchè rintronati dall’uso di device fino a tarda notte i ragazzi capiscono proprio meno di quel che gli si spiega, e qui la colpa andrebbe ricercata nei genitori che gli permettono di farsi così del male.
Cari signori laureati in psicovarie ed eventuali, le contrarietà fanno parte della vita, imparare ad affrontare quelle che la scuola in passato presentava era sano per crescere, voi state facendo come il mammut Manny dell’Era glaciale che vuole mettere una palla di neve su ogni ramo per impedire alla figlioletta Pesca di pungersi. Ed è, clamorosamente, un fallimento educativo.
Sara Alonzi
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