(L’autore della lettera è musicologo e insegnante di musica nella scuola secondaria)
Ho letto con estremo interesse l’articolo del professor Arcangeli su “Repubblica” dello scorso 28 agosto, probabilmente piccato dalle osservazioni e dalle critiche che hanno inondato la Commissione Trenta (pardon, commissione, con la “c” volutamente minuscola), da lui presieduta. E con maggior interesse ho avuto modo di leggere e condividere le parole di Giuseppe Mirabella nell’articolo “Asini, congiuntivi e dirigenti scolastici” pubblicato sul sito on line di Tecnica della Scuola il 31 agosto.
Uno di quegli “asini” ero io. Asino allo scritto, evidentemente, perché, per fortuna o grazie a Dio, mi è stata risparmiata la valutazione della gestualità e di una comunicazione non verbale evidentemente ammessa soltanto se rientrante in determinati e preordinati parametri mentali dei componenti di quella commissione.
Non vi è dubbio, infatti, che la giustificazione di Arcangeli nel valutare quel povero candidato che, a suo dire, nel corso della prova orale “gesticolava in modo esagerato”, come un novello circense ancora bisognoso di prove ed esercitazioni, sia una vera perla (si fa per dire), un modo goffo – e, mi si consenta, poco dotto e accademico – di giustificarsi.
Non vi è dubbio che numerose anomalie si siano riscontrate in diverse altre commissioni. Fa discutere il caso di una candidata che con il punteggio di 94,80/100 nella prova preselettiva e, soprattutto, con 100/100 nella prova scritta, non abbia superato la prova orale. Amnesia totale? Crisi di panico? Non sapeva le tabelline?
Cominciamo subito a dire che le parole sono importanti, soprattutto per un linguista come Arcangeli, così attento alla forma, che non sempre fa rima con sostanza. Era un concorso per Dirigenti Scolastici, non per Presidi. La differenza è sostanziale, non formale, forse un Presidente di Commissione di un Concorso per Dirigenti Scolastici dovrebbe essere edotto almeno su questo aspetto. Da insegnante di musica dovrei essere molto severo con Arcangeli, perché le sue note sono tutte stonatissime.
La vera novità, a dire il vero, sta proprio nella necessità di Arcangeli di giustificare le scelte operate dalla sua commissione. De facto il suo intervento appare come una excusatio non petita che, inevitabilmente, sembra stia trasformandosi, anche pesantemente, in una accusatio manifesta: un gigantesco effetto boomerang. A memoria d’uomo, in nessun altro caso risulta che un presidente di commissione di un concorso pubblico abbia cercato di giustificare all’esterno l’operato del gruppo di lavoro di cui faceva parte. Ho la vaga impressione che l’atteggiamento fortemente denigratorio del professor Arcangeli nei confronti di alcuni candidati che, perlomeno, meriterebbero rispetto e considerazione, se non altro per il ruolo che ricoprono, si stia ritorcendo contro di lui.
Relativamente poi a quella candidata (o candidato?) che, a giudizio di Arcangeli, “si ostinava a parlare di una docente, sebbene nel quesito estratto ci si riferisse a un docente, perché nella sua testa, evidentemente, non riusciva a concepire che nella scuola dell’infanzia potessero insegnare anche uomini”, basterebbe citare i numeri a nostra disposizione [evidenziato mio]: “Nelle scuole dell’infanzia la presenza femminile è quasi un monopolio: secondo gli ultimi dati Ocse, il 97% in Europa e il 99% in Italia”. Si può dunque considerare un errore di valutazione parlare di “una docente”, quando ci si riferisce alla scuola dell’Infanzia? È un incontrovertibile dato di fatto.
Quanto poi all’”inglese sgangherato che non ha nulla da invidiare al latino maccheronico in voga fra Quattro e Cinquecento, o al francese comico, da Totò con Peppino in quel di Milano (noio volevam savuar…)” ascoltato da Arcangeli nel corso delle prove orali, si fa fatica a seguire il ragionamento del professore, perché proprio la sua commissione aveva ritenuto, come esplicitato nel verbale del 7 marzo, di voler “procedere alla rivalutazione” di cinque prove [scritte] “anche in considerazione del punteggio positivo ottenuto nella prova di lingua”. Operazione, peraltro, non consentita a posteriori. Evidentemente, nell’assegnazione dei candidati ammessi alle prove orali alle diverse commissioni, l’algoritmo ministeriale ha casualmente fatto confluire anche molti asini nelle lingue straniere proprio nella trentesima commissione (a proposito, forse occorrerebbe modificare il senso del significato dell’aggettivo sostantivato, desueto nel suo uso, visto che gli asini, quelli a quattro zampe, sono animali intelligentissimi).
Curioso delle risposte che vorrà fornire alle domande poste da Giuseppe Mirabella, penso che il professor Arcangeli, più che il “Noio volavam savuar” dell’indimenticato Principe De Curtis avrebbe dovuto citare, magari davanti a uno specchio, il tormentone Vieni avanti, …… dei fratelli De Rege, – duo comico famosissimo negli anni Trenta-Quaranta – che, a inizio anni Ottanta, costituì il titolo del fortunatissimo film impareggiabilmente interpretato dal nonno d’Italia e Ambasciatore Unesco Lino Banfi. Chi vuol capire, capisca!
Il problema è che Arcangeli, in questa sua pessima, giustificativa recita scritta, assomiglia più a un guitto di periferia che a un attore navigato (ma non erano i candidati alla prova orale del Concorso a recitare e “gesticolare”?).
Patetico, infine, il riferimento all’Onorevole deputata M5S Lucia Azzolina, che, sempre a giudizio di Arcangeli, nella prova di informatica si è meritata uno zero al pari di altri aspiranti presidi [ancora?] che, come lei, si sono rivelati in materia degli analfabeti totali, benché se la sia cavata perché “ha studiato quel tanto che le è bastato”. Lascio all’Onorevole Azzolina eventuali commenti e puntualizzazioni. Mi domando se sia consentito a un presidente di commissione di un pubblico concorso scrivere e divulgare gli esiti della prova e il nome di un determinato candidato senza che ve ne sia la necessità. Al Miur cosa ne pensano?
Arcangeli, nel giudicare i novantasette poveri colleghi della prova orale, forse inconsciamente (?), al grande Totò sembra fare riferimento. Probabilmente osservando ogni candidato che gli si presentava davanti pensava all’altrettanto celebre frase che l’attore napoletano pronunciava, più volte nello sketch su “Pasquale”, in duo con Renato Castellani: “chissà sto’ stupido dove vuole arrivare!” Non si capirebbero, altrimenti, i giudizi denigratori e offensivi e le reiterate contumelie contenute nell’articolo di Arcangeli su Repubblica. Bel modo di valutare e di rispettare il ruolo e la figura dei candidati, degli insegnanti e della Scuola Beh, come scrive Mirabella non ci offendiamo, visto da che pulpito… E poi, come ricordava Totò, non ci chiamiamo tutti Pasquale.
Permane un dubbio: La trentesima commissione ha fatto evidenti errori di valutazione nel corso delle prove scritte o in quelle orali? O in tutti e due i momenti? Gli errori sono stati così marchiani che lo stesso Arcangeli, in un post del 6 giugno su Facebook è costretto ad ammettere che, bontà sua, “Abbiamo fatto magari qualche errore – e ci è stato giustamente rimproverato – ma posso garantire che l’abbiamo commesso in piena buona fede”. La gravità di queste affermazioni è sotto gli occhi di tutti. Chi paga l’eventuale, ammessa, buona fede, come si chiede giustamente Luigi Fabbrizio nel suo contributo pubblicato su Tecnica della Scuola lo scorso 7 agosto? E alle puntuali, numerose domande poste da Giuseppe Mirabella, il professore Arcangeli, nel dubbio, non risponde. Ricorda il povero Enea, anch’esso indeciso se corrispondere l’amore di Didone oppure obbedire alla volontà degli Dei che hanno ineluttabilmente disegnato il suo destino, al punto che, assorto nei suoi pensieri, medita il da farsi:
Se resto nel lido, /Se sciolgo le vele, /Infido, crudele /Mi sento chiamar. /E intanto confuso, /nel lido funesto, /non parto e non resto. /Ma sento il martire, /che avrei nel partire, /che avrei nel restar!
(Pietro Metastasio, Didone abbandonata, Atto I); e per citare una figura femminile, giusto ossequio alla legge sulla parità di genere, Arcangeli fa venire alla mente anche la figura di Leonora di Vargas, che ne La forza del destino di Giuseppe Verdi non sa se seguire l’amato Don Alvaro oppure rimanere nell’avita casa paterna (No, no, decidermi non so).
Molti meno dubbi ho nel fare mie le osservazioni di Mirabella quando, giustamente, riferito ad Arcangeli, scrive che “non sembra possieda le competenze per valutare l’idoneità di un dirigente scolastico”: una lapalissiana verità.
Post-scriptum: Una volta, il grande Ettore Petrolini, al termine di uno spettacolo al Teatro Jovinelli, andò sul proscenio per ringraziare il pubblico che lo applaudiva a piene mani. Soltanto uno spettatore, dal loggione, lo fischiò pesantemente. Su di lui si abbatterono gli strali del grande attore, che gli si rivolse con queste parole: “Io nun ce l’ho cò te ma cò quelli che te stanno vicino che nun t’hanno buttato de sotto”.
Come dire: Io non ce l’ho con lei, esimio professor Arcangeli…
Michele Francolino