Pronunciarsi su fatti di cronaca nell’immediatezza del loro accadimento non è affar semplice, lo so e me ne rendo conto; tuttavia, l’eccessiva amplificazione che i media e i social stanno dando ad alcuni episodi di cronaca scolastica mi impone una riflessione.
Come mi fa rilevare una grande maestra di filosofia della piana lametina, fino a qualche mese fa l’attenzione cadeva sui genitori che andavano a minacciare o aggredire i docenti che avevano “maltrattato” i loro figli con qualche rimprovero o qualche brutto voto (in qualche caso anche un bel voto che però non era quello atteso o preteso). Oggi l’attenzione si è spostata sul comportamento personale degli studenti che non chiamano il genitore (evitandogli magari di arrivare a scuola in pigiama) ma, mi si passi il termine, si “fanno giustizia da soli”.
Intanto, a mio avviso, è sbagliato il termine “bullismo” riferito a comportamenti di questo genere, perché si tratta di impura delinquenza, di “offesa a pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni” (questo è anche il ruolo dell’insegnante in classe), e non andrebbe punita solo con la bocciatura, ma con una denuncia penale per lo studente e per i genitori.
Fatte queste premesse, penso anche che fare l’insegnante comporti un’assunzione di responsabilità non comune, che forse taluni non sono in grado di sostenere; ma al di là di questo, pur sapendo di incappare in critiche, l’insegnante in questione, che è stato “bullizzato” qualche settimana fa, non aveva percepito nessun segnale dell’atteggiamento dei suoi alunni nei mesi precedenti? Ne aveva parlato nel consiglio di classe? Aveva informato il dirigente? Non credo che l’alunno che gli abbia intimato di mettersi in ginocchio fino a quel momento possa essere stato un alunno modello: difficile pensarlo!
Non è che la Scuola sapeva e ha taciuto, bevendo l’amaro calice dell’umiliazione? E’ un interrogativo che mi lascia fortemente in bilico emotivo. La legalità passa attraverso le azioni mirate, ricordiamocelo: l’omertà non fa curriculum! Forza e coraggio, allora, perché la scuola non è magistra malae vitae!
Francesco Polopoli
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