I lettori ci scrivono

A proposito di insegnamento della religione

Da un po’ di tempo a questa parte sembra sia invalsa la moda di esprimere giudizi sommari contro l’IRC. Ultimo della serie, Cortazzoli che, dopo gli interventi di Atzeni e di una nota esponente politica, spara a zero contro questa disciplina. In realtà, credo sia necessario fare un discorso più articolato e profondo.

  • La storia non si racconta così, estrapolando un dato senza contestualizzarlo. e con una semplice annotazione eponima, tanto per sottolineare l’enorme distanza tra il nostro tempo e un “allora” privo di libertà. La travagliata storia dell’IRC inizia molti decenni prima del fascismo ed è una storia fatta di ingiustificata prevaricazione nei suoi confronti. Per ricordarne il clima, basterebbe rileggere “Suor Giovanna della Croce” della Serao. In esso, è facile scorgere come un certo laicismo abbia poi finito col prendersela con i più deboli. E così, Lucia Bevilacqua, dal momento in cui Crispi decreta ipso facto la fine dei conventi di clausura, dopo 40 anni di vita monastica, si ritrova letteralmente gettata nel mondo nel quale non era più in grado di vivere. Ecco, questo era il clima laicista di un tempo e, tornando all’IRC, non fu tanto per un impeto di laicità la sua soppressione nelle scuole elementari, ma “per un tentativo sistematico di accaparramento delle coscienze” da parte della classe dirigente di allora che aveva bisogno di costruire il tessuto connettivo del neonato Regno. Dopo alterne vicende per l’IRC, si arriva al 1923, con il reinserimento dello stesso nelle scuole elementari.

  • La storia non è solo citazione a caso di una norma, ma anche riflessione attenta e operosa intorno a un dibattito di idee sotteso. Francesco De Sanctis resta stupito di fronte al fatto che “nelle nostre scuole, dove si fanno leggere tutte cose frivole, non sia penetrata un’antologia biblica, attivissima a tener vivo il sentimento religioso, ch’è lo stesso sentimento morale nel suo senso più elevato”. Dunque, non si può prescindere dal canone biblico, matrice-chiave di tanta letteratura occidentale. Lo stesso Gentile, si mostrava favorevole all’Insegnamento della Religione, non tanto per fare un piacere alle gerarchie ecclesiastiche, ma perché considerava la religione una “philosophia inferior”. A tal proposito, ebbe a sostenere la necessità “che fin dalla scuola elementare si miri a formare una coscienza e a promuovere il senso della vita, E questo senso della vita, l’ha dato all’uomo la religione o la filosofia; sicché dove non può entrare la filosofia, deve essere, deve restare la religione”.

  • Una riflessione di ordine psicologico. La religiosità (come la libido, la relazione con l’altro da sé, le facoltà immaginative) è un bisogno imprescindibile della natura umana. La storia ci insegna che l’uomo non riesce a farne a meno e che essa riemerge in un modo o nell’altro in forme sublimate. Esempio ne è il cosiddetto Pastafarianesimo, “religione” fondata dalla scienziato Bobby Anderson nel 2005, in forma chiaramente parodica. Ebbene, numerosi sono gli adoratori del Dio “Spaghetto Volante”, costituitisi in Chiesa in varie parti del mondo. Dunque, uno Stato democratico e laico dovrebbe prioritariamente occuparsi anche dell’Insegnamento della Religione. Escluderlo dalle scuole statali confinandolo nel privato, significa esporre la società di quella nazione a feroci derive settarie un po’ più “dannose”, anticamere di ogni tipo di fondamentalismo. Cortazzoli cita la Francia come esempio da emulare; ma pure lì è in atto un ripensamento nei rapporti tra Stato laico e Chiese. Anche se lo togliamo dalle scuole pubbliche, la religione è parte del vivere di molti. In Francia, meglio che l’insegnamento della religione, nel caso citato “islamica”, avvenga secondo le regole pubbliche di uno Stato piuttosto che nel privato delle madrasse? Detto questo, è ovvio che non si possono bypassare le autorità religiose che, comunque, detengono quel sapere e con le quali bisogna confrontarsi.

  • Inoltre, La seconda metà dell’Ottocento italiana è famosa anche per l’abolizione delle Facoltà Statali di Teologia. Tutto un sapere è stato di colpo cassato e ancora oggi in Italia si paga il prezzo di questo sciagurato errore storico. L’idoneità all’IRCnon è un privilegio né tantomeno un’ingerenza delle Chiese nelle prerogative di uno Stato ma un’attestazione di autenticità di alcuni precisi contenuti disciplinari, data in spirito di collaborazione. Questo tipo di collaborazione, implementata in vista di un’armonica crescita intellettuale e umana dei giovani cittadini di uno Stato, non è una prerogativa solo della Chiesa cattolica. In teoria, qualsiasi altra istituzione ecclesiale potrebbe chiedere allo Stato italiano un’intesa di tipo concordatario. Una storia delle religioni non avrebbe senso perché la religione non ha una dimensione puramente cognitiva ma è incarnata nell’esperienza di una storia personale e di gruppo.

  • Chi fa riflessioni sull’attualità ha l’onere di prendere coscienza di un fenomeno insito in ogni fatto umano e che è caratterizzato dal mutamento. L’IRC di quasi un secolo fa era sì un Catechismo ma congruo nelle dinamiche storiche e sociali dell’epoca. Voler far passare l’IRC di oggi per una mera riproposizione del suo lontano antenato, come una “sopravvivenza” nel senso dato al termine dall’antropologo Marvin Harris, credo sia un insulto all’intelligenza di tutti. Non molte settimane fa, in un dibattito social intorno ai contenuti di questa disciplina, una nota esponente politica parlava di “insegnamento dogmatico della Bibbia” da parte della Chiesa. Eppure, nei libri di religione di oggi, quando ad esempio si parla di Creazione, troviamo riferimenti a “miti” della creazione, in analogia con altri miti delle origini. Gli IdR parlano di miti e sottolineano che tali sono. Nei medesimi c’è tutto un dibattito intorno al Gesù storico e al Cristo della fede e riferimenti mirati all’esegesi dei luoghi scritturistici, fatta alla luce della più avanzata critica testuale e non da pronunciamenti “clericali”. Viene raccontata la storia della formazione dei Vangeli e delle varie fonti che hanno contribuito a costruirli.

  • Sia Cortazzoli che Atzeni usano, nella proposizione dei loro punti di vista, un linguaggio indelicato. Per Cortazzoli, gli IdR sarebbero dei “raccomandati baciapile” e l’IRC “una sorta di ufficio di collocamento delle diocesi per piazzare, a pagamento dello Stato, suore laiche, preti, amici dei vescovi, adepti della diocesi”. Il baciapile sarebbe una specie di bacchettone, ipocrita e bigotto che ostenta in malo modo la sua appartenenza religiosa. Così dice il dizionario. Continua poi “se nell’aula di mio figlio ci fosse don Matteo Zuppi o don Luigi Ciotti o un allievo di don Lorenzo Milani, o ancora qualcuno che ha ereditato il messaggio di don Tonino Bello, l’insegnamento di questa disciplina non sarebbe un’ora di catechismo e potrebbe persino diventare obbligatorio come ogni altra materia”. Ma che Cortazzoli abbia contezza di tutti gli insegnanti di religione presenti nella scuola italiana? Oltre a Cortazzoli, qualche mese fa è intervenuto nel dibattito sull’Insegnamento della Religione Cattolica anche Atzeni. Per carità, uno può anche esprimere punti di vista diversi. Comunque la si voglia pensare, però, al momento gli Insegnanti di Religione stanno nelle istituzioni scolastiche in virtù di Intese che hanno valore di legge; infatti, è vero che la presenza della disciplina discende da un’Intesa fra due Stati, ma è pur anche vero che tali Intese vengono poi ratificate da norme che ne legittimano la presenza e l’operato. Con esse, lo Stato si prende anche la responsabilità e la tutela della vita professionale e umana di cittadini suoi dipendenti. O vogliamo per caso tornare alle “purghe” di Crispi di fine Ottocento? La cosa che più addolora, nelle parole del prof. Atzeni, è però un’altra e questo, secondo me, non ha nulla a che fare col suo punto di vista e rasenta, paradossalmente, la discriminazione. Riporto nel virgolettato: “…un’altra anomalia, quella dei — docenti di religione che pure svolgono nelle scuole di appartenenza, oltre all’insegnamento, ruoli importanti che vanno dall’essere vicepresidi alle funzioni strumentali responsabile di progetti –. Una riforma seria dovrebbe porre fine anche a simili percorsi contorti e opachi come a ogni altro genere di più o meno sottile invadenza clericale nella scuola pubblica”. Scherziamo? Un insegnante di religione, casomai di ruolo, dipendente dello Stato, acquisisce competenze professionali ulteriori nel campo dell’organizzazione di sistema o della progettazione didattico-educativa dovrebbe essere escluso da queste funzioni perché dietro vi sarebbe “un percorso contorto e opaco come a ogni altro genere più o meno sottile invadenza clericale nella scuola pubblica”? Immagino, poi, un ipotetico Dirigente valutatore in un concorso per Ds che sposasse una linea del genere. Come si relazionerebbe col candidato di ruolo insegnante di religione un eventuale commissario mosso da questa precomprensione? Se fare la funzione strumentale o il Vicario per un insegnante di religione viene considerato un’anomalia da correggere addirittura con una norma, figuriamoci cosa penserebbe di un IdR Dirigente scolastico. Spero non sia mai accaduta una cosa del genere.

In definitiva, quando si dice che “la Religione Cattolica fa parte integrante del nostro patrimonio storico culturale” è cosa seria. Il codice di lettura per capire in tal senso questo patrimonio non è solo storico, ma anche teologico e scritturistico. Alcune grandi rappresentazioni artistiche vengono capite pienamente solo alla luce di un’adeguata comprensione teologico-biblica. Se ai piedi della Croce è rappresentato un teschio e nulla si sa della Lettera ai Galati e della dialettica tra il vecchio e il nuovo Adamo, come lo leggi fino in fondo quel quadro e come entri nella pietas dei loro fruitori? Si dovrebbe convenire che un insegnante ben formato non può che venire, al momento, dalle Pontificie Facoltà Teologiche perché, almeno in Italia, solo lì si studia teologia e critica testuale in ambito biblico. Perché in Italia mancano Dipartimenti statali di Studi Teologici? Questo è un altro capolavoro del forsennato laicismo di fine Ottocento.

Raffaele Fontanella

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