Per Karl Marx nazione, nazionalismo, patria, patriottismo, sono solo “sovrastrutture” create dalla borghesia per motivare gli operai a farsi ammazzare sulle trincee del profitto e del colonialismo. Perché infatti un lavoratore tedesco dovrebbe uccidere un lavoratore italiano e un contadino austriaco uno francese a colpi di baionetta? In nome proprio della patria e dei suoi sacri confini, che se invece non ci fossero non ci sarebbero le guerre.
Eppure i più accesi nazionalismi sorgono proprio in quegli Stati totalitari dove l’integrità territoriale deve essere difesa dai nemici esterni che essi creano ad hoc, per cui viene lanciata l’idea dell’accerchiamento o l’altra dello spazio vitale per allargare i confini a danno dei limitanti.
E col nazionalismo germoglia pure l’altro concetto tipico del Secolo breve ma che fu seminato nell’ 800, vale a dire il razzismo che tende proprio, sulla base della uniformità etnica, di chiudere i confini della Nazione agli stranieri.
E allora, quale risposta si può dare alla strategia di Israele che emargina i palestinesi, tentandone, pare di capire (e come tanti osservatori dichiarano) un genocidio quasi simile a quello subito dai nativi americani con cui la partita fu chiusa nelle riserve?
Nel medioevo le società accoglievano tutti e le grandi migrazioni di popoli erano accettate senza il sospetto dello stravolgimento culturale, che anzi era ben gradito perché consentiva più manodopera insieme all’apporto di nuove intelligenze e nuove idee.
In Sicilia si contano moltissime comunità gallo-italiche o albenesi, formatesi proprio nel medioevo.
Oggi è invece oggetto di dissidio avere all’interno di frontiere nazionali gente diversa; ma diversa da che cosa e da chi, se non da quelle sovrastrutture che hanno dato l’avvio all’evolversi di nazioni, compattate su ideali revisionabili e comunque nate da idealità, piuttosto che da prassi realistica e concrete, quali il miglioramento di condizioni di vita?
Che cosa è la razza se non una sovrastruttura che vorrebbe, sempre su basi astratte, determinare una presunta superiorità che nei dati reali non esiste?
Similari principi astratti hanno condizionato un mondo libero da frontiere, come la divisone di larghi strati della terra, percorsi da milioni di gente, su un parallelo o su un fiume, una catena montuosa, una foresta.
Chi spiegherà mai a un vecchio africano o amazzone che al di là di un ruscello egli invade un’altra Nazione? Chi gli farà capire che superato un parallelo (cos’è un parallelo?) c’è un’altra lingua e un altro popolo?
Eccolo il nodo: capire che il mondo è un’unica grande nazione, in cui ciascuno deve avere un ruolo sociale, economico, politico, sia nell’ambito suo proprio che altrove.
Ciò che nell’Ottocento Fichte non intuiva, parlando ai tedeschi, cosi puri nella propria entità nazionale che perfino la lingua non ha avuto contaminazioni straniere, consiste proprio in questa presunta differenziazione su un principio astratto e creato da uomini per un loro uso strumentale.
E per un certo verso anche gli ebrei hanno cercato di mantenere un orgoglioso isolamento identitario che li ha fatti guardare con sospetto perfino da Shakespeare che nel Mercante di Venezia ne descrivere i contorni più noti e “letterari”: era allora Shakespeare pure razzista? Certamente no, al contrario del fascismo che abolì la rappresentazione del Giulio Cesare perché Bruto appariva il tirannicida e Cesare l’affossatore della libertà.
Il razzismo è male oscuro, sognato dalla insicurezza di una situazione economica instabile, dalla mancanza di prospettive e soprattutto dal suicidio di un nemico sicuro, contro cui si era dirottata tutta l’aggressività dell’uomo delle caverne. Cessati questi pericoli, qualunque spettro fa paura e un nero, un diverso ancora di più.
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