Voto numerico o giudizio analitico? Valutare in modo asettico o tenendo presente la persona che si ha davanti? Rivolgo queste domande a coloro che di scuola si occupano, e non solo. Credo nella cultura e nella conoscenza come forza di autodeterminazione di un popolo. Da questo punto di vista, insegnare diventa la capacità di far emergere la persona competente che è insita in ognuno di noi a prescindere dal grado di acquisizione individuale.
Come docente, ho incontrato, da una parte, genitori afflitti o entusiasti per un metodo di qualche insegnante e dall’altra parte, docenti che esponevano il proprio metodo come se fosse l’unico possibile, il più giusto, oppure docenti che molto si adoperavano per giungere ad un metodo adeguato. Dopo svariati arrovellamenti sulla didassi, sulla didattica e sul meta-apprendimento, oggi ho compreso che un metodo efficace occorre che poggi sulla caratteristica di essere flessibile, rispondente alle peculiarità di ogni gruppo classe, e in molti casi, ai diversi stili cognitivi presenti nella stessa classe. Ancora, occorre che sia dinamico per giungere ad armonizzare i diversi momenti dell’osservazione e non limitato alle “interrogazioni canoniche” programmate con regolare cadenza. Infine, un metodo efficace deve valutare performance diversificate anche allo scopo di colmare il gap esistente fra gli studenti italiani e quelli del Nord Europa nelle prove della tipologia INVALSI. Se di metodo si deve parlare occorre farlo declinandolo al plurale. Il lessico burocratico dei documenti e dei verbali scolastici porta ad etichettare e ad usare espressioni riduttive, per cui alunni e docenti si trovano irretiti dentro i confini angusti di definizioni preconfezionate e dentro logiche precostituite partorite da troppe “riforme” scolastiche che hanno aggiunto “toppe” ad un tendone che fa acqua da tutte le parti e non solo figuratamente: vedi i tetti degli edifici scolastici. Sarebbe, invece, proficuo che l’elasticità mentale albergasse innanzitutto nella mente di noi educatori e porsi di fronte all’insegnamento come colui che, dopo aver dato quello che può, niente si aspetta, ma sa che prima o poi tutto arriverà.
Una risposta ad un dato apprendimento può essere differita nel tempo; può anche darsi che quella risposta si presenterà con una modalità che non si era prevista e, tuttavia, ci si deve adeguare ad accogliere quanto di buono e valido venga comunque prodotto. Nell’atto valutativo c’è tanta soggettività, come è giusto che sia, fermo restando che essa venga tenuta in conto e non penalizzi competenze che non corrispondono ad un criterio di oggettività supposto. L’attenzione non deve focalizzarsi su: dare i voti o compilare un giudizio, ma su come viene valutato un processo che, per sua natura e complessità non può non contemplare la totalità della persona che si ha di fronte.
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