Home Didattica A quando lo studio del diritto e dell’economia?

A quando lo studio del diritto e dell’economia?

CONDIVIDI

Non è il momento di inserire, nel nostro ordinamento scolastico, lo studio del diritto e dell’economia nelle scuole superiori.

Non lo è ancora, non lo è mai stato. Neppure quando il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo emettevano, nel 2006, la Raccomandazione 962 sulle competenze chiave dell’apprendimento permanente. In quell’occasione si individuarono otto precipue aree di istruzione nell’iter formativo degli studi superiori, tra cui quelle sociali e civiche, che includono “le competenze personali, interpersonali e interculturali e tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa.

La competenza sociale è collegata al benessere personale e sociale. È essenziale comprendere i codici di comportamento e le maniere nei diversi ambienti in cui le persone agiscono.

La competenza civica e in particolare la conoscenza di concetti e strutture sociopolitiche (democrazia, giustizia, uguaglianza, cittadinanza e diritti civili) dota le persone degli strumenti per impegnarsi a una partecipazione attiva e democratica”. E ancora, si riteneva essenziale “comprendere le dimensioni multiculturali e socioeconomiche delle società europee e il modo in cui l’identità culturale nazionale interagisce con l’identità europea».

Non è stato il momento giusto quando in occasione della riforma Gelmini il Parlamento bocciava l’emendamento del Pd con cui si definiva concretamente l’insegnamento di una nuova disciplina scolastica, “Cittadinanza e Costituzione”. Materia, questa, in precedenza evocata dall’ex Ministro dell’Istruzione, on. Gelmini, che ne faceva vacuo quanto sterile slogan: nessun riferimento alle ore di lezione da introdurre, all’individuazione dei docenti preposti ad insegnarla, ma soltanto generiche “azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale”. Riforma, peraltro, bocciata con la nuova sentenza del Tar Lazio, la n. 6438/2015 del 29/1/2015, depositata il 5/5/2015, che assegna al Ministero il termine di 30 giorni per dare esecuzione alla precedente sentenza di annullamento n. 3527/2013 e ripristinare i vecchi quadri orari.

Una stagnazione del dibattito che contribuisce a reiterare il ritardo dell’ordinamento scolastico superiore del nostro Paese, nel quale la gran parte degli adolescenti ignora, alla soglia della maggiore età, i concetti basilari del Diritto e dell’Economia.

Nei sistemi scolastici degli altri Paesi, scopriamo invece che queste materie sono pilastri ineludibili del percorso istruttivo. In Francia, dall’età di 11 anni, i ragazzi frequentano i collège d’enseignement secondaire, della durata di quattro anni, suddivisi in due cicli di due anni. Nei primi due, chiamati “ciclo di osservazione”, tutti gli studenti seguono un curriculum comune, di circa 24 ore a settimana, che include, tra le altre, le materie di educazione civica ed economia. Gli ultimi due anni del collège, detti “ciclo di orientamento” consentono agli studenti di scegliere alcune materie sulle quali imperniare la futura specializzazione professionale. Nelle scuole secondarie americane, della durata di sette anni, le conoscenze vengono impartite con l’introduzione dello studio delle scienze, dell’educazione civica e delle lingue straniere. In Australia, già dalla primary school, equivalente alle nostre scuole elementari e ai primi due anni di scuola media, si studia, tra le altre, la materia “ambiente e società”, che comprende geografia, educazione civica ed economia.

Infine, nella Finlandia, Paese ai primi posti delle graduatorie Pisa (Influential Programme for International Student Assesment), che misurano l’alfabetizzazione e il rendimento scolastico degli studenti dei vari Paesi del mondo, si introdurranno nell’insegnamento secondario, materie come “L’Unione Europea e il diritto Comunitario”.

Cosa succede in Italia? Sebbene le questioni giuridiche ed economiche entrino sempre più prepotentemente nel vissuto quotidiano (diritto alla sicurezza, alla privacy, al lavoro, alla tutela della salute, etc.), il legislatore sembra non ritenere necessario educare il futuro cittadino alla piena consapevolezza del proprio status di cittadino. Mentre si dibatte sulla piaga della violenza sulle donne, sulla crescente conflittualità sociale, conseguenza naturale della crisi economica e dello smarrimento di riferimenti certi di un’intera generazione, quella attuale, il Parlamento continua a rimandare l’introduzione obbligatoria dello studio dell’educazione civica a partire dalla scuola media. Uno degli Stati fondatori della Comunità Europea, paradossalmente, non considera fondamentale la conoscenza diffusa dei principali organi dell’Unione, dei suoi strumenti legislativi, delle sue politiche economiche e monetarie.

La scuola italiana resta in una condizione di stallo, senza capacità di adeguarsi ai notevoli sviluppi della pianificazione didattica e l’insegnamento del diritto, in tutte le sue branche, sembra affidato non ai professionisti della materia, sempre più delegittimati, ma al “giurista” improvvisato del momento. Il laureato in lettere, storia o filosofia insegnerà, tra una pagina e l’altra della Storia, cos’è la nostra Costituzione, quando è stato sancito il diritto universale al voto, com’è tutelata la sicurezza sul posto di lavoro, ecc.

Il docente di diritto, invece, sarebbe tutt’altra cosa, esperto in materia, capace di dare un senso pregnante al proprio insegnamento calandolo nella realtà quotidianamente esperita dai ragazzi. Eppure, come si ricordava, non sembra ancora maturo il momento giusto per introdurre una giusta riforma. Si sta perdendo l’occasione anche con l’ultima riforma della scuola, contenuta nel DdL cd “La buona scuola”, che tra le proprie varie storture omette persino l’aggiornamento dei contenuti delle materie scolastiche, ritenuto, evidentemente, un ardito stravolgimento.

Con esso è stato bocciato l’emendamento che prevedeva l’obbligatorietà in tutte le scuole superiori dell’insegnamento del diritto e dell’economia.

Comparare la scuola italiana a quella finlandese è probabilmente inadeguato, tale la distanza tra culture, tradizioni, radici storiche e contesti socio-economici, comparare lo slancio verso l’innovazione e l’approccio prospettico verso l’insegnamento è invece possibile. Nel confronto, purtroppo, ne usciamo tristemente perdenti.

 

Maria Giovanna Musone, responsabile cultura dell’Apidge