Non trattenere i propri cervelli a casa ha un costo: salato. Infatti per un verso lo Stato investe in ogni studente, dalle elementari alla laurea e poi lo regaliamo ai Paesi che lo accolgono e gli danno una possibilità.
La perdita è doppia visto che, stando ai dati Ocse, la spesa pubblica per ogni laureato viene ‘restituita’ alle casse dello Stato quadruplicata: i benefici sociali che derivano da un laureato italiano sono 3,7 volte maggiori dei costi; 2,4 volte se si tratta di una laureata donna.
Dunque ogni euro speso in università e ricerca, ne porta da 2,4 a 3,7. Dati Istat e Ocse alla mano, il nostro Paese spreca ogni anno, non investendo adeguatamente in formazione e ricerca, poco meno di 6 miliardi di euro.
Lettera43.it snocciola i numeri: nel 2014, ben 89 mila cittadini hanno lasciato l’Italia per l’estero contro gli 82 mila dell’anno precedente. Di questi 19.733 mila sono laureati (+3,4% rispetto al 2013).
Se a questi si sottraggono i 7.286 mila laureati che hanno fatto ritorno in patria, probabilmente anche grazie all’effetto della legge 238/2010 che incentiva con sgravi fiscali il rientro di risorse umane altamente qualificate, il risultato è di 12.447 mila laureati in uscita.
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La meta preferita dei nostri cervelli è il Regno Unito con oltre 3 mila arrivi, davanti alla Germania con 2.400 e alla Svizzera con 2.346. Fuori dal podio la Francia a quota 1.594 e gli Usa con 1.384.
Ogni laureato rappresenta un costo per lo Stato che investe nella sua formazione dalle scuole elementari all’università.
Secondo l’Ocse, precisa sempre Lettera43.it, per elementari e medie, la spesa annua ad alunno è rispettivamente di circa 7.140 euro e 8.035 euro. Per l’Università sale a 8.928 euro l’anno. Ciò significa che per l’istruzione di ogni laureato spendiamo circa 100 mila euro (se consideriamo una media di 4 anni all’università). Moltiplichiamo 100 mila euro per 12.477 laureati in fuga e il risultato è di circa 1 miliardo e 250 milioni di euro.
Questa la cifra che, solo nel 2014, abbiamo di fatto investito in formazione e di cui non vedremo alcun ritorno, soldi ‘regalati’ ai Paesi che accolgono i nostri laureati.
Se avessimo offerto loro un posto di lavoro adeguato, il nostro bilancio avrebbe avuto una boccata di ossigeno di quasi 4 miliardi.
A questa cifra va poi aggiunto, specifica Lettera43.it, ancora 1 miliardo e mezzo e cioè quanto rendono ogni anno gli oltre 240 brevetti firmati da ricercatori italiani.
A beneficiarne però non è l’Italia bensì i Paesi dove i nostri sono andati a lavorare.
In totale, ma si tratta solo di una stima al ribasso, nel 2014 la fuga di cervelli ha comportato quindi un ‘danno’ di circa 5 miliardi e mezzo.
Lo scenario se è possibile è ancora più preoccupante, perché l’Italia non solo lascia andare i suoi talenti, ma non è in grado di attirarne di stranieri e infatti nel 2013 meno di 16 mila studenti di altri Paesi Ocse risultavano iscritti nei nostri atenei contro i circa 46 mila studenti in Francia e i 68 mila in Germania.
Stando al rapporto Ocse Education at Glance, in Italia i laureati stranieri sono solo il 10%, un dato che ci catapulta in fondo alla classifica Europea.
Che l’Italia non attiri cervelli e anzi li lasci fuggire non può stupire, visto che ‘vantiamo’ il più basso tasso di occupazione di giovani laureati: nel 2014 solo il 64% di chi aveva conseguito la laurea tra i 25 e i 34 anni aveva una occupazione, 5 punti percentuali in meno rispetto al tasso di occupazione del 2010, contro l’82% di media Ocse.
E che il finanziamento delle università era pari allo 0,9% del Pil, contro il 2% o più investito da Canada, Stati Uniti, Danimarca o Finlandia.
La fuga di cervelli insomma danneggia le nostre facoltà e le nostre casse. Perdite che oltre al ministro Giannini dovrebbero preoccupare il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
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