A Roma, sul precariato scolastico si sta verificando quello che la Buona Scuola ha procrastinato di qualche anno a livello di istruzione nazionale.
Il Comune capitolino, infatti, non avrebbe quest’anno assunto diversi docenti di religione nelle scuole dell’infanzia per evitare di doverli immettere in ruolo perché, come indicato dalla Corte di Giustizia europea, hanno superato i 36 mesi di servizio non continuativo.
Sulla vicenda, ripresa il 25 gennaio dal quotidiano La Repubblica, è voluto intervenire anche l’ufficio scuola del Vicariato di Roma, secondo cui è “doveroso precisare” che “il disservizio relativo alla mancata assunzione degli insegnanti di religione cattolica nelle scuole dell`infanzia comunali non può in alcun modo essere attribuito a responsabilità del Vicariato”.
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Secondo il Vicariato, quindi, l’amministrazione romana ad oggi ha “illegittimamente mantenuto in condizione di precarietà gli insegnanti di religione cattolica, proponendo loro contratti di supplenza pur in costanza di un fabbisogno organico e permanente di personale (Corte di Cassazione, sent. 201/2016 e 1066/2016)”.
Tutto ciò è accaduto, continua il Vicariato, “nonostante la normativa europea abbia imposto di non reiterare i contratti a tempo determinato”.
Eppure, “per più di 36 mesi, esattamente al fine di indurre i datori di lavoro a stabilizzare i precari, il Vicariato ha ricevuto promesse e rassicurazioni fino al 7 novembre scorso, quando, senza alcun preavviso, ha appreso che quest’anno il Comune di Roma non avrebbe rinnovato il contratto a ben 51 insegnanti di religione, proprio “per colpa” della loro lunga carriera (da 4 a 18 anni di servizio)”.
Ricordiamo che la Legge 107/2015 impone alle amministrazioni scolastiche locali di conteggiare i 36 mesi anche ai precari dell’istruzione pubblica: ciò avviene, però, solo dal 2016. Già nel 2019 potremmo cominciare, salvo modifiche della legge, a vedere “stoppati” pure i supplenti dalle scuole statali.
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