In alcune scuole, rischiano di caricarsi di tensione gli ultimi giorni dell’anno scolastico: da una parte ci sono gli studenti, desiderosi di presentarsi in classe in bermuda, canotta e infradito; dall’altra i dirigenti scolastici, che mandano messaggi, anche ufficiali, che mettono “al bando” certi tipi di abbigliamento.
Il no tassativo dei capi d’istituto
Come è accaduto qualche giorno fa a Milano, dove il preside dell’istituto comprensivo “Leonardo da Vinci” ha inviato una circolare alle famiglie ricordando che le alunne e gli alunni devono evitare di andare in classe con pantaloncini, canottiere, bermuda e ogni altro capo di abbigliamento inadeguato al contesto scolastico. In precedenza, dello stesso tenero erano state le indicazioni fornite dalla ds del “Belluzzi – da Vinci” di Rimini, dove dall’inizio dell’anno scolastico le nuove regole prevedono una nota o un richiamo scritto – dopo tre infrazioni – per chi si presenterà in abbigliamento “non consono all’ambiente”. E una posizione analoga, lungamente argomentata, era stata presa dalla preside del liceo “Righi” di Roma.
Le proteste dell’Uds Puglia
Le prese di posizione dei presidi, però, non sembrano avere sortito gli effetti desiderati. Almeno da parte delle associazioni studentesche della Puglia, che interpretano i divieti come una sorta di lesione dei propri diritti. Il 14 maggio si è fatta sentire l’Unione degli studenti della regione, reputando “inaccettabili” le decisioni di alcuni presidi che nell’ultimo periodo hanno imposto “un vero e proprio dress code al quale gli studenti e le studentesse devono attenersi negli spazi scolastici”.
L’Uds, quindi, ha organizzato un’iniziativa di protesta, con striscioni, davanti al liceo “A. Scacchi” di Bari, uno dei licei dove il preside ha fatto appello “alla sobrietà”. “Sui nostri corpi e nelle nostre scuole decidiamo noi”, afferma Davide Lavermicocca, coordinatore dell’Unione degli Studenti Puglia.
“Da qualche giorno diversi presidi in tutta la Regione – continua Lavermicocca – stanno pubblicando alcune una note sul sito delle scuole, o addirittura inserendo alcune norme nei regolamenti di Istituto, in cui si impone agli studenti e alle studentesse un ‘abbigliamento decoroso e rispettoso di spazi come la scuola che sono da considerarsi al pari delle Chiese’. Per i presidi non è accettabile un abbigliamento, da loro definito, ‘balneare’ con alcuni parti del corpo scoperte”.
“Perché non si guarda le gambe e le spalle scoperte degli adulti?”
L’Unione degli Studenti Puglia chiede che tali decisioni vengano ritirate “in favore di una più profonda riflessione sul senso degli spazi scolastici come spazio di crescita ed espressione degli studenti e delle studentesse”.
“Non crediamo – continua lo studente – sia formativo costruire decisioni legate alla retorica del decoro che censurano parti del nostro corpo, visto ancora come tabù e elemento di provocazione sessuale, in quanto vengono vietati shorts, minigonne e canotte”.
Secondo il rappresentante Uds Puglia, “si preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto, pensando che la soluzione per una corretta e completa educazione – aggiunge – sia non vedere mai, in nessuna circostanza, le gambe e le spalle scoperte dei propri coetanei. Imporre un dress code è un provvedimento offensivo e lesivo della dignità di ognuno e ognuna di noi e limita alla base la nostra libertà, della quale la stessa scuola dovrebbe farsi garante”.
Inoltre riteniamo profondamente offensive nei confronti degli studenti e, soprattutto, delle studentesse alcune dichiarazioni di dirigenti scolastici che si rivolgono con toni paternalistici scambiando la libertà espressa anche attraverso l’abbigliamento con immaturità oppure invitando le ragazze a ‘coprirsi perché lasciare immaginare scatena fantasie (sottintendendo quelle sessuali) e le rende più belle'”, conclude Lavermicocca