No. Non si tratta del canonico silenzio assenso. Ma di un silenzio di protesta, un modo diverso di essere Bartleby, un modo diverso di dire preferisco di no.
Preferisco di no, ma con il silenzio dissenso.
Una pratica di protesta che pare stia lentamente trovando diffusione in diverse scuole. Dopo le illusioni del 5 maggio, la resa da parte di molti attori in campo contro quella che ora non viene più chiamata buona scuola, ma semplicemente Legge 107 del 2015, o scuola renziana, se non cattiva scuola, cosa è accaduto?
Salvo chiaramente i casi ove il rapporto con la dirigenza scolastica non è ostile, dove non sussistono muri, è incrementato il decisionismo, l’autoritarismo. Le scuole hanno sempre anticipato ciò che accade poi nella società in genere. La scuola è stata da sempre terreno ove sperimentare e praticare i modelli che dovranno trovare affermazione nel futuro. Anche perché si devono preparare le future generazioni a quel futuro che i governanti hanno pensato, disegnato. Se cade la democrazia nella scuola, cade nella società. Aver incrementato a dismisura i poteri dei dirigenti scolastici, in chiave aziendalista, ha comportato nelle scuole un cambiamento radicale nei rapporti. Non solo gerarchizzazione, ma muro contro muro, il capo e i dipendenti, e chi osa il “preferisco di no”, resistenza non tanto avverso i cambiamenti, ma nei confronti di un modo di fare e pensare la scuola che si scontra con quello di una scuola collegiale e democratica, viene spesso isolato. O bersagliato come il solito rompiscatole di turno.
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Ma le uniche voci che nei collegi docenti si ascoltano, o che provocano dibattito e discussione, sono proprio quelle del dissenso e della critica, del rompiscatole di turno, dissenso costruttivo, avverso l’unica direzione che dovrebbe intraprendere la nuova scuola renziana. E quando tace la voce costruttiva del dissenso o della critica, il collegio docenti diventa un luogo deprimente, muto. Il Dirigente parlerà solo ai muri, al vuoto. E questo è quello che rischia di accadere nelle scuole.
Ma come potrà il Dirigente scolastico ritornare ad essere il vecchio preside? Non lo potrà.
Troppe responsabilità, troppi poteri, troppe scuole da gestire, senza neanche essere stato formato e preparato per ciò in modo adeguato. Anche perché la scuola non è una semplice azienda. È una cosa diversa, e importare il modello gestionale aziendalista nella scuola sarà un fallimento colossale.
Il rapporto umano e collegiale viene meno. Vengono meno le relazioni. Viene meno la capacità dell’ascolto. La critica diventa perdita di tempo. Si deve fare veloce. Veloce per approvare. Veloce per la scuola del decisionismo che ben rispecchia la nostra società. Dove non la verità ma l’autorità costruisce la legge, e non è un caso che le Leggi, in questo Paese, in questi ultimi anni le scriva il Governo, trattandosi sempre di iniziative legislative per via governativa. Ma questa macchina non può durare. Si incepperà.
Prima o poi ciò accadrà. Non so il come, neanche il quando, ma si incepperà. E intanto il silenzio dissenso è una pratica interessante di protesta. Forse la miglior forma di protesta, in questo momento, nelle scuole. Per poi implodere ed esplodere in un grande urlo di protesta che farà tremare le fondamenta labili di questa cattiva, se non pessima scuola, che farà scuola paradossalmente proprio sul come non si deve fare e vivere la scuola pubblica, laica, democratica e collegiale.
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