Il direttore della “Fondazione Agnelli” occupa ancora le pagine di Repubblica tornando a parlare di scuola, con un articolo, pubblicato il 6 gennaio, dal titolo “A scuola anche a luglio”.
Il Direttore sintetizza la situazione scolastica in piena emergenza, dicendosi preoccupato per la frammentarietà delle risposte delle regioni e l’evoluzione dell’anno scolastico. Pur riconoscendo, brevemente, che, per assicurare la presenza in classe, sarebbero stati necessari ben altri interventi, conclude sostenendo che: “La risposta non può che essere una, la dico nel modo più ruvido: allungare l’anno scolastico fino a luglio e perfino ad agosto, con l’obiettivo di recuperare quello che non è stato fatto da marzo scorso a oggi. Siamo in un’emergenza mai vista prima. Se crediamo davvero che la scuola sia importante, nulla può essere un tabù, compreso continuare a fare scuola durante l’estate.
È una proposta che è stata formulata da alcuni esperti di scuola (si veda l’appello su www.condorcet.altervista.org) e che sottoscrivo. Pur sapendo che molti docenti hanno fatto miracoli in questo periodo con la Dad, non basta ancora.”
Ora, anche a voler tralasciare l’idea di scuola promossa da Condorcet, c’è da osservare subito una cosa: persino l’appello di tale gruppo – fra i cui firmatari è il segretario della UIL Pino Turi – non fa riferimento a un allungamento del calendario scolastico, ma a una “rimodulazione” dello stesso in base a quello europeo. Gavosto, il quale si dichiara portavoce di questa istanza, che sarebbe nata da “esperti” della scuola, la strumentalizza, chiedendo ai docenti di lavorare senza interruzioni, ora e in estate, amplificando tale “proposta” in virtù dello spazio riservatogli sulla stampa nazionale, stampa che, lo ricordiamo, è risultata nel 2020 al quarantunesimo posto per libertà di espressione (cfr Reporters sans frontieres).
La vera posta in gioco, però, è un’altra, come indicano precisamente Giovanni Carosotti e Rossella Latempa sul sito di Roars: rinfocolando presso l’opinione pubblica prostrata dalla crisi lo sdegno mai sopito nei confronti della categoria degli insegnanti, Gavosto sfrutta la condizione attuale per riaffermare una precisa posizione, la scuola aperta tutto l’anno, a costo zero, già sostenuta da altri economisti.
In tal modo, egli approfitta della tragicità del momento, per attaccare definitivamente gli insegnanti, puntando populisticamente ad esaltarne il discredito, nel caso obiettassero di non essere disposti a mettersi a disposizione a qualunque condizione e in qualsiasi momento. Non importa che siano insegnanti della scuola d’infanzia o primaria, che in alcune regioni non hanno mai smesso di lavorare in presenza, o docenti di scuole secondarie di primo e secondo grado, che, pur a distanza, non hanno perso un’ora di connessione: qualsiasi cosa sia stata fatta, non può bastare.
Gavosto afferma di parlare in nome del futuro del Paese, ma, come scrivono Carosotti e Latempa, “devasta con retorica reazionaria quell’idea stessa di comunità che faticosamente, giorno dopo giorno, proprio la scuola tenta di consolidare”.
Non è un caso che egli parli di “diversa organizzazione delle classi”, misura vicina all’idea di destrutturazione didattica che il Direttore della Fondazione Agnelli da sempre ha in mente, ma non della riduzione degli alunni per classe, la misura più urgente per mettere in sicurezza le scuole, mai presa da alcuno in seria considerazione, il tutto in nome di una “restituzione delle competenze” la cui perdita non è mai stata certificata, la cui consistenza mai sostanziata, la cui natura mai specificata, ma che Gavosto e altri economisti come lui pretendono di misurare alla fine dell’a.s. con i test Invalsi. Il loro “recupero” deve avvenire ora e a qualunque condizione, ovviamente a costo zero e a spese dei lavoratori, in nome del bene del Paese.
La proposta, ispirata a quel finto interesse per la scuola oggi dilagante, non solo è priva di ogni senso didattico, ma è pericolosa, sia perché tende a minare i diritti dei lavoratori tutti (dopo gli insegnanti, ovviamente sarà la volta di altre categorie, non potendosi ammettere differenze nel pubblico impiego) sia perché basata su un concetto dello studente, considerato alla stregua di un contenitore da riempire immediatamente e forzosamente, di un’istruzione che non preveda assimilazione nei giusti tempi, di contenuti che non hanno necessità di sedimentare per divenire abilità e di competenze miracolosamente inculcate dai docenti, responsabili della loro eventuale assenza.
Soprattutto svela la vera natura di tanto interesse per la scuola da parte degli economisti nostrani: produrre lavoratori a buon mercato, automi che non conoscono riposo né aspirano alla cultura, che deriva da un’istruzione arricchita da esperienze di crescita che richiedono tempo e tempi, futura manovalanza a basso costo in un mercato del lavoro pronto anche a farne a meno.
Maria Carolina Campone
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