La nave della legalità, come è noto, è la nave che piena di studenti parte da Civitavecchia e da Napoli per ricordare ogni 23 maggio a Palermo, con la strage di Capaci, i giudici simbolo della lotta alla mafia, Falcone e Borsellino.
Così Nado Dalla Chiesa, sul Fatto, prende penna e calamaio per rintuzzare affermazioni forti.
Alla scuola va fatto un monumento per il suo costante impegno sul fronte antimafia e nonostante sia sempre a secco di risorse: “la scuola pubblica italiana ha fatto quel che non hanno fatto l’impresa, la politica, gli intellettuali, le professioni e l’informazione. Si può anzi dire che se il paese ha retto di fronte all’offensiva criminale lo deve a due pilastri: da una parte magistratura e forze dell’ordine, dall’altra la scuola. Decine di migliaia di insegnanti hanno dedicato tempo, passione, studi aggiuntivi per fronteggiare un fenomeno che il paese ufficiale non vedeva.”
“Nella scuola si sono così formate generazioni più consapevoli delle precedenti”, dice ancora Dalla Chiesa, ma “E’ perfino commovente tornare in una scuola venti o trent’anni dopo e ritrovare la professoressa conosciuta ancora giovane, ormai vicina alla pensione, e che tuttora continua a organizzare corsi, giornalini, teatro contro la mafia. Gratis. Senza gloria. E sarebbe bello che proprio queste persone, regolarmente neglette, venissero finalmente e ufficialmente ringraziate dal presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno. Ecco. La Nave della legalità è ogni anno il punto d’arrivo (gioioso e faticosissimo) di questo immenso lavoro. E ha il pregio di indurre chi vi partecipa a dire, come ho sentito dire dai miei studenti, “mi ha cambiato la vita”.
“Se in Italia la legge non viene applicata come vorrebbe (giustamente) Galli della Loggia, è perché l’indolenza delle classi dirigenti, i calcoli elettorali, le complicità politiche e giudiziarie lo impediscono. Da qui la necessità di unire tutte le forze legalitarie per cambiare uno Stato che dovrebbe funzionare in un certo modo ma che in quel modo, disgraziatamente, non funziona. Ci sarà pure una ragione se i magistrati in prima linea hanno sempre assegnato alla scuola, con i suoi tanti ragazzi senza diritto di voto, una funzione fondamentale o se perfino un generale diventato prefetto, uomo per antonomasia della repressione, sentì d’istinto il bisogno e l’utilità di andare a parlare nei licei palermitani.
Insomma, più che essere il bersaglio delle polemiche, oggi la scuola -sì, la famigerata scuola- dovrebbe essere il modello di tutti. Magari l’Italia ne fosse all’altezza”
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