Quest’anno è passata inosservata ai più. Del resto, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, in cui le guerre e le violenze di ogni genere ci avvolgono e ci fanno paura ogni giorno di più, una parola come “gentilezza” fa quasi sorridere, chi la pronuncia è guardato con la condiscendenza che si riserva ai vecchi romantici di un tempo che fu, che si commuovono ancora rileggendo le storie di Cuore di Edmondo De Amicis.
Eppure ieri, 13 novembre, la gentilezza è stata festeggiata in tutto il mondo, perché proprio il 13 novembre – da venticinque anni – si celebra la Giornata Mondiale della Gentilezza, istituita dal World Kindness Movement, una coalizione di organizzazioni non governative, che l’ha lanciata durante una conferenza internazionale tenutasi a Tokyo nel 1998.
A questo proposito il quotidiano La Stampa ci ricorda quali sono le otto regole che tutti, anche i più giovani, devono conoscere: scegliere con cura le parole sui social, vestirsi in modo conveniente rispetto al luogo che si frequenterà, riconoscere i gradi di formalità e adeguare il registro comunicativo alla situazione, accettare le proprie e altrui fragilità e così via discorrendo, di regola in regola.
Ci piacerebbe aggiungere qualche regola a questo elenco di gentilezze, considerato che anche a scuola, oltre che nel mondo in generale, i tempi sono bui e i timori e le preoccupazioni di chi vi opera sono in crescita esponenziale: genitori che per un rimprovero si catapultano a scuola a picchiare il docente che ha osato rimbrottare il loro pargolo, alunni che insultano e picchiano i docenti (quando va bene…) semplicemente per un brutto voto o per un richiamo. E così via. Insomma, la Scuola italiana ha bisogno di gentilezza! Ma si possono insegnare il garbo, la cortesia, l’amabilità, soprattutto in contesti socio-culturali svantaggiati dove il degrado tende ad annullare ogni forma di delicatezza?
Noi crediamo sì: tuttavia, più che insegnarla, la gentilezza va “offerta”, presentata più che trasmessa, come una possibile alternativa alla malevolenza, all’animosità. La pacatezza contro la vita urlata. Come, concretamente? Usando, ad esempio, anche nelle situazioni in cui ci verrebbe da urlare a squarciagola, un tono calmo e pacato, fermo ma tranquillo e composto. Il sorriso, poi, è una forma di affabilità che più di ogni altra può aprire autostrade comunicative, soprattutto se offerto a persone che non ne hanno esperienza. Un modo di essere che ogni educatore dovrebbe cercare di praticare, perché anche se può suonare retorico, la gentilezza e le attenzioni sono l’unica arma per sconfiggere maleducazione e aggressività. E ricordiamo: non soltanto il 13 novembre.
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