Ma cosa hanno fatto di male i docenti italiani per dover sopportare da decenni Ministri che, con la scusa di migliorare la malandata scuola italiana la spingono, invece, verso un assetto sempre più precario?
Da più di due decenni i miti dell’efficienza e dell’efficacia, intrecciati indissolubilmente, quasi un mostro bicefalo, hanno portato ad una politica continuativa di tagli nel settore pubblico e nella scuola.
Chi avesse voglia di verificare, riprenda le Leggi di Bilancio che, da troppi anni, altro non fanno che togliere risorse alla scuola.
Il ministro Bianchi è sicuro di sé e, dopo averci fatto tornare a scuola “in presenza ed in sicurezza” (e poco importa se ogni giorno centinaia e centinaia di classi vanno in quarantena: lo sappiamo, la realtà non esiste) rilascia dichiarazioni anche sulla scuola del futuro.
Essa sarà una scuola fantastica, anzi magica: riuscirà nel miracolo di far sì che in quattro anni di superiori si impari di più e meglio che in cinque.
Il liceo quadriennale “è un modo diverso di affrontare il tema dell’apprendimento. Lo fa ampliando gli “spazi della didattica”. Una vera rivoluzione, dunque: abbreviare i tempi e ampliare gli “spazi didattici”.
“Spazio didattico” è un’espressione suggestiva ma poco definita, che proviamo a tradurre. Bianchi propone la “didattica esperienziale”: somiglierà a quella “scuola attiva” già presa mirabilmente in giro negli anni Sessanta da Mastronardi ne Il maestro di Vigevano? Il learning by doing dovrebbe, secondo teorie alla moda, essere alla base dello “sviluppo delle facoltà non cognitive dei giovani, come maturità emozionale, capacità relazionale, comunicazione verbale e non verbale, pensiero creativo”.
Comprendiamo perché la Camera dei Deputati abbia recentemente approvato una legge sulla “Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche”: lasciando perdere la critica dell’iniziativa nel merito, ci limitiamo a chiedere se un tal modo invasivo e pervasivo di intendere l’educazione scolastica richiederebbe più o meno tempo.
La risposta è chiara: ci vorrebbe molto più tempo-scuola. A meno che non si voglia trasformare la scuola in un recinto (falsamente) inclusivo, luogo delle “relazioni” (spesso pessime) e non dell’apprendimento.
Tutte le iniziative prese negli ultimi decenni vanno nella direzione di una vera e propria scuola duale: l’una destinata ai figli delle classi meno abbienti, che avranno la scuola delle soft skill, del learning by doing, del CLIL, etc. L’altra, quella seria, destinata alla futura classe dirigente: una scuola in cui si continuerà a trasmettere conoscenza.
Lo schema è certo semplificatorio, ma bisogna anche avere il coraggio di semplificare. Per chi voglia approfondire, si legga la parte destinata all’istruzione nel PNRR: 11.000 caratteri destinati allo sport a scuola, circa 700 per gli istituti tecnici e professionali, 900 agli ITS, che sembrerebbero essere il nodo centrale del cambiamento.
Nella Legge di Bilancio queste proporzioni erano rispettate: se ne traggano le conclusioni e ci si chieda quanto stia a cuore la scuola a chi dà un tale peso, oggettivamente spropositato, allo sport a scuola.
Sappiamo che il liceo quadriennale è un cavallo di battaglia di Patrizio Bianchi: il Ministro ne aveva scritto in un suo saggio del 2020 Nello specchio della scuola.
Perché passare da un liceo di cinque anni ad uno di quattro? Ma è evidente, per accelerare i tempi di accesso all’università e a quelli di ingresso nel mercato del lavoro! Perché fare entrare i nostri giovani un anno dopo nel “mercato del lavoro”?
Peccato che in Italia la disoccupazione giovanile abbia toccato nel 2021 il 29,8% (dati ISTAT a settembre 2021). A chi attribuire la colpa del 29,8% di giovani disoccupati? Ma alla Scuola, anzi allo Skills mismatch tra istruzione e domanda di lavoro, come, contro ogni evidenza logica, viene affermato a p. 172 del PNRR.
Ecco, così finalmente è detto in modo chiaro: per quelli che a scuola ci devono permanere, ma poco, tanto vale abbreviare il percorso. Gli altri, che possono continuare a studiare recupereranno quello che hanno perso nel “liceo breve” negli anni universitari e post-universitari.
Diciamoci la verità: il miglior modo per demolire la scuola come servizio pubblico essenziale è svuotarla dei suoi contenuti culturali, riempiendosi la bocca di “inclusività”, soft skill e consimili sciocchezze prive di sostanza.
Giovanna Lo Presti
Portavoce CUB SUR
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