Carissima ministra De Micheli, confrontiamoci. Mentre lei, pagata profumatamente, si muove tra edifici inseriti nei libri di storia dell’arte, con il compito di pianificare i trasporti in un paese disastrato come l’Italia, soprattutto in Sicilia, dove in pratica non esiste una viabilità, cosa facciamo noi docenti?
A spese nostre, dalle nostre case, a discapito nostro, cerchiamo di tenere a galla una nave che affonda, cioè l’Italia. Cerchiamo di trasmettere il nostro patrimonio culturale a una generazione di giovani alle prese con una pandemia. La didattica a distanza non ha orari. Si lavora a ritmi martellanti, perché noi non siamo spettatori.
Noi facciamo lezione, quindi non possiamo stare muti, spegnere microfono e telecamere o trasmettere il nostro screenshot come fanno, purtroppo, alcuni alunni. Noi lavoriamo con grande impegno e dignità. Molti di noi non avevano dimestichezza con le nuove tecnologie, ma non si sono arresi.
Noi spieghiamo e organizziamo verifiche. Correggiamo i compiti che ci vengono inviati. Ma si sa, noi siamo fannulloni. La politica si ricorda di noi solo per bacchettarci e produrre norme sempre più antidemocratiche. Ora lei, che in questi mesi non ha fatto nulla, dopo tanti anni in cui per infrastrutture e trasporti non si fa niente, propone di tornare a scuola in presenza, con orari anche serali, sabato e domenica inclusi.
Perché, a suo parere, solo così si possono scaglionare entrate e uscite scolastiche sui mezzi pubblici. Bene. Noi non abbiamo diritto a nulla, per esempio a vivere. Qualcuno le ha mai detto che si lavora per vivere e non si vive per lavorare? Lo diceva anche Seneca. Giù le mani da noi, ministra.
Maria Enea