Navigo sui social nella mattinata del 25 novembre in cerca di post e commenti sulla Giornata Nazionale contro la violenza sulle donne, proprio nel momento in cui le scuole di tutta Italia sono scese in piazza a manifestare contro l’immane tragedia dei femminicidi, o sono coinvolte in iniziative piccole e grandi per esprimere la solidarietà, la vicinanza e l’affetto ai familiari e alle vittime di tanta efferata violenza, nonché il ripudio per la cultura maschilista, patriarcale, volgare e sessista che avvelena l’Italia.
Scorrendo il flusso di Facebook, mi imbatto per caso nel commento postato da un “profilo pubblico”, dal sindaco di un piccolo comune molisano, Vinchiaturo. Il post recita testualmente “Sto pensando che è proprio vero che nella scuola ormai si insegna il sapere ed il saper fare, ma non più il saper essere”. Lo leggo e mi chiedo su quali basi e quali elementi di valutazione un rappresentante delle Istituzioni, il primo cittadino di un comune che ospita un Istituto Comprensivo vivace ed efficiente, possa scrivere una simile banalità, che uno si aspetterebbe di sentire più in un bar, davanti ad un boccale di birra, che leggere dal profilo social di un sindaco.
Da insegnante e uomo di scuola dico che è tempo di finirla di addossare tutti i guasti della società alla scuola, scaricando sempre su di essa responsabilità che vanno ricercate altrove.
Con tutti i suoi limiti, la scuola è e rimane l’unico luogo dove, con grande fatica, giorno dopo giorno, si cerca di trasmettere ai ragazzi valori universali e inderogabili quali la pace, la parità di genere, l’educazione sentimentale, l’uguaglianza, la solidarietà, l’accoglienza, l’inclusione, la fratellanza, il rispetto delle diversità, la libertà di pensiero, l’importanza e il valore dello studio, della formazione individuale e collettiva, l’amore per la scienza, la passione per gli studi umanistici, la Bellezza in ogni sua forma.
Gli insegnanti portano avanti, giorno dopo giorno, una mole di attività, belle, interessanti, formative, coinvolgenti, che vengono demolite in un nanosecondo dai modelli culturali e sociali che i ragazzi sperimentano fuori dalla scuola, spesso in famiglia, oppure leggono in giudizi come quelli citati, spesso pronunciati dalle figure di riferimento delle comunità.
Pensiamo ai femminicidi e proviamo a creare un nesso logico con l’uso che fa la TV del corpo delle donne. Una merce da esporre, un circo perenne che rimanda l’idea di una donna contraffatta, irreale, sottomessa al maschio e facilmente disponibile.
Per anni i media privati e pubblici hanno inculcato la convinzione che se hai belle le gambe e un bell’aspetto puoi sposare un calciatore o un uomo ricco e fare shopping con la sua carta di credito; che se violi la legge basta avere i soldi per pagare. Ci hanno convinto che per avere successo devi spingere, sgomitare, fare lo sgambetto, saltare la fila, corrompere, cambiare opinione secondo la convenienza, metterti al soldo di chi ti darà la paghetta migliore.
A differenza di ciò che sostiene il sindaco, la scuola non ha mai avuto come priorità l’insegnamento del sapere e del saper fare. La scuola ha sempre avuto a cuore l’essere e non l’avere.
La scuola insegna ai ragazzi soprattutto ad essere. Essere consapevoli, essere pensanti, essere critici nel pensiero, essere attivi, essere informati, essere comunità. In una parola, noi insegniamo ai nostri studenti ad essere cittadini, del presente e del futuro. Lo facciamo ogni giorno. Da anni. Da sempre. Le responsabilità di quello che l’opinione pubblica ritiene evidentemente un fallimento della scuola, vanno cercate altrove, fuori dalla scuola, nei modelli sociali, economici e culturali creati e imposti in lunghi decenni di martellante e indecoroso spettacolo pubblico e televisivo, fatto di nani politici e ballerine da circo mediatico. La scuola queste responsabilità, almeno queste, davvero non le ha.
Massimo Campanella
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