A Francesca Garolla, figure emergente del nuovo teatro italiano, è stato chiesto, fra le altre cose inerenti la sua attività di collaborazione con registi di fama nazionale, “Se fosse il ministro della Cultura, cosa farebbe per il teatro e l’arte?”
E Garolla, come è riportato dalla Stampa: «Renderei obbligatorio nelle scuole lo studio del teatro, della musica, del cinema. Pretenderei quote rosa ai vertici delle istituzioni artistiche – sì, se si vuole cambiare un sistema può essere necessario attraverso delle regole, e no, non penso che questo vada contro la meritocrazia –, farei una legge sullo spettacolo e poi studierei per capire cos’altro fare. O forse mi dimetterei subito, perché io non voglio fare il ministro, voglio fare l’autrice!».
A parte le proprie inclinazioni personali, lo studio del teatro a scuola è progetto antico, in orario extra curriculare, anche se parlarne ora, in piena seconda fase pandemica, è poco appetibile.
Sarebbe comunque un modo importante e di alto valore culturale e che servirebbe pure ad aggregare non solo i ragazzi della zona, ma anche gli alunni delle varie classi.
Il Mi infatti lo raccomanda, precisando:
“Il processo di riforma attivato dal Miur in questi anni garantisce maggiore autonomia e flessibilità alle scuole creando, così, i presupposti per piani formativi capaci di rispondere ai fabbisogni di crescita culturale e personale degli studenti.
L’utilizzo degli spazi di flessibilità permette di seguire percorsi alternativi di apprendimento che hanno trovato nel teatro lo strumento didattico ideale, la sintesi e l’interazione perfetta tra scolastico ed extrascolastico, tra curricolarità ed extracurricolarità, tra aula e laboratorio.
In tal senso, l’educazione teatrale a scuola si risolve, oltre che nell’acquisizione da parte degli studenti di abilità o competenze artistiche, anche e soprattutto nell’impiego del teatro come strumento pedagogico trasversale, in grado di incidere profondamente sulla crescita della persona nella sua interezza cognitiva ed emotiva.”.
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