Fa venire il magone e le lacrime agli occhi, specialmente sotto le festività natalizie, la triste vicenda raccontata al quotidiano la Stampa da un insegnante precario di Torino che è quotidianamente costretto ad andare a mangiare in una mensa dei poveri della città.
Per via del mancato pagamento degli stipendi dei precari da settembre 2015, questo professore sessantenne abilitato in metodologie operative nei servizi sociali e laureato in psicologia, è costretto ad umiliarsi giorno per giorno mentre vengono sbandierati orgogliosamente i risultati e le innovazioni apportate dalla cosiddetta “buona scuola” al sistema scolastico.
Ecco il testo dell’intervista rilasciata al quotidiano la Stampa di Torino:
“Mi sono organizzato per avere libera l’ora tra le undici e mezzogiorno: fino a venerdì, quando si è conclusa la sostituzione malattia che stavo facendo, andavo alla mensa del Sacro Cuore, poi tornavo a scuola. Ora ho accettato una supplenza fino al 30 giugno in due serali, avrò più tempo. So di non essere il solo insegnante a fare questa vita. Non ci pagano da settembre: chi è solo e non è ricco di famiglia a questo punto non ce la fa più”. Il professor M.N., 60 anni, abilitazione in Metodologie operative nei servizi sociali, laurea in Psicologia, insegna soprattutto nei corsi serali da sedici anni. A Torino è un riferimento per il suo impegno per i diritti dei disabili e degli immigrati. Vederlo tirar fuori dal portafogli la tessera della mensa dei poveri è un’umiliazione anche per chi lo sta ad ascoltare. Perché M.N. lavora per lo Stato, nella scuola dello Stato.
“Finora del fatto che non ci stanno pagando s’è parlato poco, è vero. Forse – ragiona il professore che dieci anni fa aveva abbandonato la formazione professionale per l’Istruzione – perché chi vive questa situazione difficile lo fa in modo privato, ci si vergogna. Ci sono colleghi venuti dal Sud che devono farsi mandare i soldi da casa, c’è chi ha avuto un prestito dal preside per pagare il treno e poter andare a lavorare. E c’è chi non ha potuto accettare una supplenza perché, in questa situazione, non avrebbe avuto i soldi per pagarsi il trasporto”. Il tono pacato esprime una tristezza profonda. “Siamo noi a doverci vergognare? Sì, arrivare alla mensa è ammettere una discesa. Ma se da settembre a Natale hai ricevuto in tutto lo stipendio di quindici giorni e sei indietro con affitto e bollette, allora pensi di essere fortunato a vivere a Torino, dove l’aiuto alimentare a chi è in difficoltà non manca»” Ai volontari della mensa ha spiegato la situazione, lo hanno accolto. “Spero che il mio problema non duri a lungo, spero di poter lasciare il posto ad un’altra persona”.
M.N. sorride. “Nel 2008 – ricorda – ero stato alla mensa del Cottolengo per una piccola inchiesta sugli immigrati stranieri e la crisi, scrivevo per una rivista che allora veniva pubblicata a Torino. Mi aveva impressionato il silenzio: facevano quattro turni, bisognava mangiare in fretta. Al Sacro Cuore l’ambiente è più familiare, ma nessuno parla dei propri guai”. Al professore spettano tre mesi e mezzo di stipendio, la tredicesima e la liquidazione dell’anno scorso. “Chissà quando arriveranno. E se arriverà tutto insieme, la beffa sarà che scatterà l’aliquota e pagherò più tasse. Certo, avessi saputo che non ci avrebbero pagato fino a gennaio, sarei rimasto con il sussidio di disoccupazione. Per vivere. Non è bello dire che ti spingono a comportarti così. Con le mie competenze e il mio punteggio, comunque, un posto nella scuola so di trovarlo in qualunque momento dell’anno”, spiega con disagio. Il poco denaro ricevuto fin qui M.N. racconta di averlo usato per coprire qualche debito. “Mi sono solo permesso di mandare i fiori a mia mamma per il compleanno. Quando arriveranno gli altri soldi, sistemerò subito il debito con la banca e l’affitto. Sono fortunato: la mia padrona di casa è un’ex insegnante, capisce cosa sta succedendo”.
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