Il ministro dell’Istruzione francese Jean-Michel Blanquer ha presentato, davanti al Consiglio Superiore dell’Educazione, una riforma scolastica che introduce una piccola rivoluzione: la scuola dell’obbligo a cominciare dai tre anni e non più dai sei, dalla materna e non dalle elementari: in quegli anni, tra i tre e i sei, «si gettano le basi dell’apprendimento».
Per quanto però riguarda l’Italia, anticipare di un anno l’ingresso a scuola, perché i bimbi inizierebbero la primari a 5 anni e non più a sei, risolverebbe il problema dell’età di uscita dalle superiori.
In Francia però, dove il ministro dell’istruzione è seguace delle neuroscienze e delle teorie cognitiviste secondo cui «la plasticità del cervello prima dei sei anni è particolarmente propizia all’assimilazione del linguaggio, ed è proprio in questa fase che si fabbricano i futuri abbandoni scolastici», sarebbe un beneficio per tutti: prima si comincia e meglio è.
Per altri, però, la misura di portare obbligatoriamente a scuola i cinquenni sarebbe un atto di accusa nei confronti di genitori incapaci di educare i propri figli: prima glieli togliamo, meglio è.
I francesi ritengono che a beneficiare di più di una scuola obbligatoria a tre anni saranno i bambini con situazioni familiari più difficili o disagiate, magari cresciuti in case dove il francese si parla poco o male. Sono circa il tre per cento della popolazione scolastica: quelli che a sedici anni avranno le maggiori probabilità di lasciare la scuola dell’obbligo senza sapere né leggere né scrivere.
«A due anni il bambino conosce venti parole, a sei ne deve conoscere 2500 ha detto Macron L’immersione nel linguaggio in questi primi anni è un obiettivo fondamentale. La scuola materna dovrà diventare la scuola del linguaggio».
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