Quanti miliardi di euro sono stati spesi dallo Stato per la prevenzione degli abbandoni scolastici nel corso dell’ultimo ventennio? Per abbandoni si intende quel fenomeno per cui i ragazzi si inscrivono regolarmente a scuola, anche per ottemperare all’obbligo, e poi dopo un certo periodo lasciano, scomparendo dall’anagrafe dell’istruzione.
Sembra inoltre che questo fenomeno riguardi soprattutto le prime quattro classi delle scuole superiori, mentre da un calcolo abbastanza attendibile a dileguarsi dai banchi sarebbe una media del 12%, ma con punte massime nel mezzogiorno fino al 30% e minime al Nord.
La fuga più marcata interesserebbe gli istituti tecnici e professionali dove si supera anche il 20% contro appena l’8% dei licei.
Il problema è allora quello di capirne non solo la causa ma anche quale efficacia abbiano avuto finora tutte le strategie messe in opera, insieme alle rispettive somme stanziate, fra cui fondi Pon, Por e Fse, per prevenire questa moria o quantomeno per contenerla, considerando ancora che in Italia questo evento è il più accentuato rispetto alla media europea.
C’è poi una zona oscura della quale mancano addirittura anche i dati, costituita dagli evasori totali, ragazzi cioè che non si iscrivono neppure e quindi del tutto sconosciuti, alla stessa stregua di chi non ha mai pagato le tasse: non c’è ma è presente.
E oltre a questa falange c’è un’altra schiera, altrettanto robusta, detta della dissipazione culturale, nelle cui fila militano ragazzi alla conquista di un diploma ma senza l’attesa preparazione e con livelli di conoscenza così bassi e stentati da rendere la loro qualità professionale scarsissima.
L’idea è rappresentata dal fatidico pezzo di carta per svolgere un lavoro qualificato ma di cui si capisce poco.
Intanto, secondo alcuni, le cui cause principali (ma non le sole) degli abbandoni sarebbero in primo luogo la mancanza di metodo di studio e di organizzazione, seguite dalla carenza di motivazioni valide per impegnarsi nello studio e poi situazioni familiari particolarmente problematiche dure, come la disoccupazione o il degrado ecc.
Stabilito anche questo punto, i soldi spesi per il recupero hanno dato il loro frutto?
Non abbiamo dati attendibili, mentre si parla sempre di progetti volti alla promozione di laboratori musicali, con l’obiettivo di portare i ragazzi a scuola sulle note del mito principe dei loro tempi e non già solo per replicare musiche ma per crearle, inventarle, manipolarle.
“Attraverso l’esperienza del fare ognuno apprenderà a leggere e a scrivere musica, a comporla e a improvvisarla”, dice giustamente l’estensore del progetto; e improvvisarla significa pure usarla come gioco in sintonia col termine inglese to play (ma anche il tedesco spielen) che ha doppio significato: giocare e suonare.
E se l’idea è degna di tutte le attenzioni, anche per evitare che gli abbandoni infittiscano le schiere malavitose delle periferie e quelle bullesche di certe scuole, sarebbe altrettanto opportuno che si monitorassero i risultati. Non per sciatta pignoleria, ma per capire bene se cotante operazioni finanziarie per dare a tutti le pari opportunità culturali siano stati efficaci o meno.
La verifica del resto non fa parte del bagaglio professionale del docente? E chi verifica non è giusto che talvolta venga egli pure verificato?
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