Secondo quanto viene pubblicato della “Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2018 Italia”, elaborato dalla Commissione europea, l’Italia spende meno degli altri Paesi Ue in istruzione e ottiene risultati peggiori. Per questo, ma non solo, rischia di perdere un milione di studenti nei prossimi dieci anni: passando da 9 a 8 milioni totali (fonte Eurostat).
Come può essere? A parte la natalità, spiega Linkiesta.it, il grande andicap è la dispersione scolastica che in Italia è tra i temi più caldi su cui sono puntati i riflettori dell’Ue. Tra gli obiettivi del Piano strategico “Europe 2020”, c’è proprio quello di portare il tasso di abbandono scolastico al 10%, mentre l’Italia è ancora ben al di sopra della media Ue: anzi, l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione è aumentata negli ultimi due anni attestandosi, nel 2018, al 14,5%.
La controprova sono i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: nel 2017 erano il 25,7%, a fronte di una media europea del 14,3%. Una percentuale simile si registra a Cipro, dove i Neet sono il 22,7%, seguono poi Grecia (21,4%), Croazia (20,2%), Romania (19,3%) e Bulgaria (18,6%).
Anche in termini di competenze e livello di istruzione, in Italia il 27,9% dei giovani 30-34enni possiede un titolo terziario, con un livello medio molto inferiore alla media europea: infatti per le donne, la quota di 30-34enni laureate è del 34%, per gli uomini del 21,7%.
E ancora, parlando di istruzione tecnica, nonostante l’80% dei diplomati negli Istituti tecnici trovi un lavoro a un anno dalla fine degli studi, gli iscritti sono solo circa 10mila contro gli oltre 900mila tedeschi, mentre, secondo i dati Eurostat, nell’Unione europea ci sono 3,8 milioni di posti di lavoro vacanti.
Ciò sarebbe dovuto, secondo l’Ue, a problemi di competenze inadeguate presenti sul mercato, che taglia il 20% dei posti, tant’è che la Commissione europea nel 2016 ha presentato una proposta di raccomandazione chiamata “Garanzia competenze – Skills Guarantee”, incoraggiando l’adeguamento delle competenze dei giovani e dei disoccupati.
In Italia inoltre, circa il 6% dei lavoratori possiede competenze basse rispetto alle mansioni svolte, mentre il 21% è sotto qualificato.
I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana. Inoltre, circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi.
Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), solo il 36% degli individui in Italia è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa e diversificata. Un riflesso di ciò è che nel nostro Paese il 13,8% dei lavoratori è impiegato in occupazioni ad alto rischio di automazione e avrebbe bisogno di una formazione moderata (fino a un anno) per passare a occupazioni più sicure.
L’Italia – come emerge dallo studio Ocse Education at Glance – spende mediamente meno degli altri Paesi per l’istruzione: in dollari Usa equivalenti per studente (il 28 per cento in meno dei paesi Osce) e in percentuale al Pil (3,9% del Pil, contro il 5% medio dei Paesi industrializzati e il 4,6% dell’Unione europea).
Una spesa scarsa che si può fotografare anche negli stipendi dei nostri insegnanti: al massimo della carriera, il salario di un docente raggiunge tra il 79% (scuola primaria) e l’86% (scuola pre-primaria) della media Ocse a un analogo livello.
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